La disfatta Tory consegna il governo del Regno unito ai laburisti. I 412 seggi vinti da Starmer, il più grande “swing” del partito, non corrispondono però a una valanga di voti, complice l’astensione. L’ombra nera di Farage: entra a Westminster con quattro deputati
HO FATTO CENTRO. La squadra di Downing Street. Lodi a Rishi Sunak, primo leader di origine asiatica, discorso sul ritorno del governo al servizio dei cittadini
La cronaca della vittoria annunciata del Labour di nuovo al potere è proseguita ieri mattina senza soluzione di continuità per Starmer e i suoi dopo una notte febbrile trascorsa davanti alla ridda di cifre, percentuali, elaborazioni grafiche digitali costruite sullo spoglio. Recatosi subito a Buckingham Palace dal monarca dove, in una cerimonia medievale che prevedeva il baciamano (opportunamente emendata del medesimo), ha ricevuto l’incarico di formare il suo – del monarca – governo, Starmer è pervenuto poi a Downing Street.
DAVANTI allo stesso leggìo dove lo sbaragliato premier uscente Rishi Sunak aveva annunciato la data delle elezioni «anticipate» sei settimane prima, e dopo che questi vi aveva tenuto quello di commiato (l’unica differenza è che ieri era asciutto), Starmer ha parlato (letto) per la prima volta al paese. Ha tributato rispettose lodi al Sunak primo Primo ministro britannico di origine asiatica – un segnale di magnanimità – ha parlato del ritorno di un governo al servizio dei cittadini, di un governo del fare, che tratterà tutti con rispetto, anche coloro che non l’hanno votato, di un governo che farà anziché parlare, di un governo che al primo posto metterà il paese e non il partito. Ha parlato, anche se in chiave naturalmente positiva, di un grande reset: lo speech writer non si è avveduto/non ha tenuto conto, dell’omonima teoria della cospirazione. E ha poi infilato una serie di elogi della stabilità, della moderazione, del rinnovamento.
SI È POI INSTALLATO al numero dieci, dove ha iniziato a convocare i componenti del Suo (sempre del monarca) governo:
confermata la vice Angela Rayner, come lui ex alleata di Corbyn, confermata alle finanze l’ex ministra ombra, Rachel Reeves (già in grave imbarazzo tempo fa, quando passaggi del suo libro sono stati accertati come frutto di un plagio); e altre figure già aspiranti leader e vergognosamente sconfitte da Corbyn alle primarie del 2016: Liz Kendall (Work and Pensions), Yvette Cooper (Interni), l’ex-leader e figlio degenere di Ralph, Ed Miliband (Energia), il rampante Wes Streeting (Sanità), e il sagace opportunista David Lammy agli Esteri.
SEGUONO John Healey alla difesa, Shabana Mahmood alla Giustizia e soprattutto il potente manovratore e privilegiato alleato starmeriano Pat McFadden come cancelliere del Ducato di Lancaster. Torna anche un’altra “pragmatica” ex-corbyniana, Lisa Nandy alla Cultura. Rachel Reeves, che alloggerà alla porta accanto a quella di Starmer e inevitabilmente finirà per avere attriti con lui – è fisiologico dei rispettivi ruoli – ha seguito una tradizione ormai consolidata dai suoi predecessori nel mettere subito le mani avanti, dichiarando di aver ereditato un’economia impoverita dai conservatori che rappresenterà una sfida per il nuovo governo. Ha subito aggiunto che si appoggerà al settore privato per coprire il deficit. «Gli investimenti del settore privato sono la linfa vitale di un’economia di successo. Dobbiamo sbloccarli». È la prima donna a ricoprire storicamente questa carica.
STREETING, una delle figure più smaccatamente blairote della compagine, ha vinto il proprio seggio per un soffio (circa 500 voti) per via della posizione del partito sul genocidio di Gaza. Vari candidati in aree a predominanza islamica non sono passati. Giova ricordare che lo scorso ottobre il neo premier disse che Israele aveva «il diritto» di tagliare acqua e corrente alla popolazione della Striscia, provocando un forte risentimento in determinati collegi del nord, cosa che ha poi maldestramente cercato di ritrattare quando era ormai troppo tardi.
E TUTTO QUESTO ha prevedibilmente avuto una ricaduta diretta sull’esito di stanotte. Cinque candidati indipendenti che avevano espresso il loro sostegno a Gaza sono passati al posto dei laburisti, mentre un’ondata di voti per gli indipendenti altrove ha negato al Labour una vittoria in aree in cui si dava per scontato vincesse. A Leicester South, città industriale nelle Midlands, Jonathan Ashworth, già membro del governo ombra, ha perso il suo seggio per 979 voti a favore di Shockat Adam, un candidato indipendente che ha fatto del sostegno a Gaza una parte fondamentale della sua campagna. Al sostegno della causa palestinese deve in parte senz’altro anche la bella, bellissima vittoria di Corbyn a Islington North