CRONACHE DI GOVERNO. L’autonomia corre alla Camera con i tempi contingentati. Al Senato avanti il premierato
La ministra delle Riforme Elisabettta Casellati in aula - foto LaPresse
L’esito delle elezioni europee, con una fuga dei cittadini dalle urne, e in particolare con una vera e propria diserzione degli elettori al Sud, avrebbe dovuto indurre la maggioranza a riflettere prima di riprendere l’esame del premierato e dell’autonomia. Al Senato e alla Camera, invece, ieri le destre hanno ripreso come sonnambule la loro corsa a suon di contingentamento dei tempi, di queste due riforme, destinate ad accentuare i due mali evidenziati dal voto di domenica: la crisi della rappresentanza e la spaccatura sociale del Paese.
L’INCOERENZA TRA le due riforme e i due clamorosi fenomeni emersi alle elezioni europee è stata evidenziata ieri mattina dai due capigruppo del Pd, Chiara Braga e Francesco Boccia, e poi dal capogruppo di Avs in Senato, Peppe De Cristofaro, che ha ripetuto il concetto in aula: «Durante la chiusura dei lavori per le elezioni avremmo dovuto mettere sulla porta dell’aula il cartello ’chiuso per lutto’: la maggioranza assoluta degli italiani non è andata a votare, nel giro di 10 anni si sono persi 10 milioni di elettori».
Riunendo i gruppi del Pd Elly Schlein ha fatto propria l’analisi dei suoi capigruppo ed ha invitato ad una opposizione dura. Un intento lodevole ma difficilmente realizzabile quando in entrambe le aule le destre hanno imposto il contingentamento dei tempi su due riforme che cambiano la forma di Stato e la forma di governo. Infatti il contingentamento era già scattato a Palazzo Madama per il premierato, ed è scattato anche a Montecitorio per l’autonomia.
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L’esame del ddl Calderoli, infatti, è iniziato a maggio e nel regolamento quando si scavalla il mese, parte il contingentamento dei tempi. Le opposizioni hanno a disposizione solo nove ore, il che potrebbe portare ad esaurire le votazioni già giovedì pomeriggio, 13 giugno. Non a caso quel giorno i comitati «No ad ogni Autonomia differenziata» hanno organizzato un presidio davanti a Montecitorio.
IL GOVERNATORE DEL VENETO Luca Zaia, soddisfatto perché si è arrivati all’«ultimo miglio», ha aggiunto: «Siamo già pronti a sederci al tavolo con il governo per discutere la delega delle prime materie, come scriverò alla premier immediatamente dopo l’approvazione della riforma». Ciò che rimane della Lega Nord si attacca dunque all’Autonomia per bilanciare la Lega di Salvini e Vannacci, e non far implodere il partito, né la maggioranza e il governo.
SE IL CONFRONTO muscolare non ha successo, ci si prova con gli argomenti: ma anche qui lo scontro è contro un muro cieco e sordo, per usare due metafore delle opposizioni in Senato. Infatti l’Aula di Palazzo Madama è giunta a discutere l’articolo 5 del ddl Casellati, il cuore della riforma che introduce nella Costituzione l’elezione diretta del premier. Ebbene il testo enuncia il principio ma tace come esso si attua.
«Nel testo – ha detto Ivan Scalfarotto – ci sono evidenti buchi. Come viene eletto il premier? Cosa succede se il voto all’estero diventa decisivo? Quanto sarà il premio di maggioranza? Ci sarà un ballottaggio? Cosa accade se, per qualche motivo, c’è una differenza di maggioranza tra Camera e Senato? Su tutte queste questioni governo e maggioranza non dicono nulla. Votiamo alla cieca». La ripetuta richiesta alla ministra Casellati (dai dem Andrea Giorgis e Simona Malpezzi, a Enrico Borghi di Iv) di anticipare almeno i criteri della legge elettorale sono caduti nel vuoto.
La ministra – che in una recente intervista al Corriere della Sera aveva dichiarato di provare «orrore» verso le opposizioni – non si è degnata di aprire bocca: non tanto per rispetto delle opposizioni, bensì per riguardo all’istituzione che pure ha guidato nella scorsa legislatura. In compenso ai diversi senatori che le si sono rivolti direttamente, ha ostentatamente risposto tacendo e compulsando lo smartphone.
La ministra è sembrata volersi portare avanti con i compiti, visto che la riforma – come hanno notato Annamaria Furlan, del Pd, Bruno Marton ed Elisa Pirlo di M5S e Tino Magni di Avs – subordina il parlamento al governo, visto che è eletto a traino del premier che lo può sciogliere, «mortificandolo» e svuotandolo della sua funzione di rappresentanza. Rappresentanza non solo delle idee politiche, ma anche delle istanze e delle conflittualità sociali