MIGRANTI. Scontro sul soccorso del 4 aprile: gli spari libici, poi il fermo. Ma un video dà ragione alla Ong
La Mare Jonio in stato di fermo - Mediterranea
«Un ministro della Repubblica non mente mai al parlamento. Quello che un ministro riferisce in parlamento, lo fa in base ai rapporti formali che gli vengono riportati dalle autorità competenti, non da altre cose di fantasia. Quindi confermo quello che ho detto». È costretto a giocare in difesa il titolare del Viminale Matteo Piantedosi dopo che il video pubblicato ieri mattina da Mediterranea sul soccorso del 4 aprile ha smentito la sua versione. Giovedì in Senato, rispondendo a un’interrogazione del dem Antonio Nicita, il ministro dell’Interno aveva sostenuto che la nave Mare Jonio si è avvicinata alla motovedetta di Tripoli Fezzan quando questa «aveva già assolto all’obbligo di salvataggio in mare», che l’equipaggio di Mediterranea ha incitato i migranti a buttarsi in mare per fuggire dai libici e che solo a quel punto i militari nordafricani hanno sparato alcuni colpi di avvertimento.
Ammesso e non concesso che quest’ultimo comportamento sia legittimo – e il paese di bandiera della nave minacciata, che in questo caso è l’Italia, non debba invece stigmatizzarlo – le immagini pubblicate da Mediterranea mostrano un quadro ben diverso. In particolare nei sessanti secondi resi pubblici ieri si vede l’inizio dell’intervento di soccorso: c’è un barcone sovraccarico di migranti ma non la Fezzan. E poi si sente una comunicazione in Vhf in cui viene detto ai libici di non «sovrapporsi» durante il salvataggio. Dunque di restare a distanza.
QUELLO CHE ACCADE dopo la Ong lo aveva già mostrato a seguito del fermo amministrativo della nave subito all’arrivo a Pozzallo: i libici frustano le persone che hanno sul ponte mentre alcune tentano la fuga, poi minacciano e sperano i gommoni dei soccorritori. «Noi cerchiamo sempre di far mantenere la calma. Se anche avessimo voluto, non avremmo potuto comunicare con i migranti a bordo della Fezzan: lo impedivano i rumori degli spari e dei motori, oltre alla situazione di panico», afferma Fabio Gianfrancesco, rescue coordinator di Mediterranea che si trovava a bordo del mezzo di soccorso e compare nei video.
La versione di Piantedosi di fatto ricalca quella scritta nel verbale di detenzione della Mare Jonio, con la firma di guardia costiera, polizia e guardia di finanza. Il ministro, però, sembra condirla con una grossa imprecisione: è vero che la Fezzan aveva terminato un intervento, ma nelle carte il riferimento non è al caso seguito da Mediterranea, ma a uno precedente. Sul ponte della motovedetta c’erano già delle persone proprio per questo motivo. In ogni caso l’aspetto più problematico resta un altro: secondo la Ong quella ricostruzione non è suffragata da prove.
LO HANNO SCRITTO nel ricorso contro il fermo le avvocate dell’organizzazione umanitaria: «il provvedimento è macroscopicamente illegittimo» e «basato su un palese travisamento dei fatti». Le autorità presenti nel porto di sbarco, del resto, non hanno chiesto né la versione di Mediterranea, né visionato il materiale documentale – video e relativo alle comunicazioni – che questa voleva produrre a sostegno della propria versione.
Durante procedimenti civili su casi analoghi si è scoperto che prove di questo tipo i libici non ne avevano fornite alle autorità italiane. A Brindisi dal processo sul fermo della Ocean Viking è venuta fuori soltanto una mail con la versione dei fatti di Tripoli. A Ragusa nel caso che riguarda la Sea-Watch 5 l’Avvocatura dello Stato italiano voleva evitare di produrle in udienza e avere la fiducia del giudice sulla parola. Vedremo come andrà stavolta: l’Ong ha chiesto al tribunale di depositare tutto il materiale in proprio possesso e che altrettanto facciano le autorità italiane. L’udienza cautelare è stata fissata, sempre a Ragusa, il prossimo 23 aprile.