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TRIPOLITALIA. Le autorità italiane accusano la Mare Jonio di aver creato il pericolo in mare, senza chiedere prove ai partner libici che giovedì avevano aperto il fuoco verso naufraghi e soccorritori. Nel verbale della detenzione le parole del capitano Buscema: «Una vergogna che il governo del mio paese sostenga e finanzi questi criminali»

 Un momento del soccorso della Mare Jonio, con i naufraghi in acqua dopo l’arrivo della motovedetta Fezzan - Mediterranea

Libici finanziati dall’Italia a bordo di una motovedetta appartenuta alla guardia di finanza creano il panico durante un salvataggio, sparano verso naufraghi e soccorritori, minacciano con i mitra l’equipaggio di una nave che batte bandiera tricolore. Il governo Meloni non protesta con gli sparatori, al contrario: punisce gli sparati. Questo è successo negli ultimi tre giorni tra le acque internazionali del Mediterraneo centrale e Pozzallo, dove venerdì sera la Mare Jonio ha ricevuto un fermo di 20 giorni.

Il messaggio è chiaro: la premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, quello dell’Interno Matteo Piantedosi, il titolare delle Infrastrutture Matteo Salvini sono disposti a coprire qualsiasi cosa alla sedicente «guardia costiera» di Tripoli. È un gioco pericoloso, perché garantire impunità a chi negli ultimi mesi si è mostrato sempre più aggressivo rischia di aggiungere morti ai morti, responsabilità a responsabilità. Da entrambi i lati del mare.

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QUALCUNO LA VITA potrebbe averla persa già giovedì scorso. «Ho visto i libici passare sopra a un uomo in mare, con il loro motore», ha raccontato ieri nella conferenza stampa dalla Mare Jonio Iasonas Apostolopoulos. È il coordinatore delle operazioni di salvataggio, quello che nel video diffuso dalla Ong grida: «Non sparate, non sparate, è un soccorso». Raggiunto dal manifesto Apostolopoulos specifica di aver notato sia la Fezzan sia il gommone nero dei militari passare sopra due diverse persone, «ovviamente non posso sapere se

sono annegate». La dottoressa di bordo Vanessa Guidi ha raccontato invece che uno dei sopravvissuti, un ragazzo sulla ventina, «aveva una ferita in testa perché mentre si trovava in acqua cercando di restare a galla i libici lo colpivano».

Il fermo della nave è stato disposto dalle autorità italiane – capitaneria di porto e guardia di finanza di Pozzallo, squadra mobile di Ragusa – sulla base della versione fornita da gente che in mare, in una situazione estremamente delicata, si comporta così. Secondo quanto sostiene il centro di coordinamento di Tripoli «un gommone della nave Ong si è avvicinato alla motovedetta libica che aveva a bordo persone in precedenza soccorse ed ha incitato i migranti a lanciarsi in mare per interrompere le operazioni del Fezzan». Questo comportamento e il rifiuto di allontanarsi avrebbero prodotto disordini e confusione, creando pericolo per la vita umana e violando così la lettera f) del decreto Piantedosi.

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«INCREDIBILE – dice Apostolopoulos – Noi siamo arrivati per primi. Stavamo lì da una ventina di minuti. Le persone erano tranquille. È stata la Fezzan a generare il panico. Con 60 migranti in mare quelli hanno aperto il fuoco. Basta questo a dimostrare qual è il loro rispetto per la vita». Altrettanto incredibili sono le modalità della contestazione. L’avvocato di Mediterranea Fabio Lanfranca spiega che «la sanzione è basata su una narrazione di Tripoli non dimostrata da alcuna prova documentale. Prove che invece noi abbiamo, i video per esempio. Ma prima ci hanno dato il fermo e solo dopo ci hanno ascoltato».

Significa che il provvedimento era arrivato pre-confezionato da Roma. Non è la prima volta. A questo giornale risultano almeno altri due casi in cui le capitanerie di porto hanno comunicato informalmente ai soccorritori di non toccare palla: il loro ruolo non è accertare i fatti, ma notificare le decisioni prese nella capitale.

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L’ONG PRESENTERÀ oggi il ricorso amministrativo e sta lavorando a un esposto penale. «Contro il governo libico, la motovedetta Fezzan, ma anche le complicità di Roma definite dal memorandum. Il caso Regeni, per esempio, mostra che può esserci giurisdizione su un crimine commesso all’estero contro un cittadino italiano», afferma Luca Casarini, portavoce di Mediterranea. L’ex leader dei disobbedienti ha poi un messaggio per Meloni: «Non ci fermeremo, non ci fai paura».

Un pensiero all’esecutivo lo ha rivolto anche il comandante della Mare Jonio Giovanni Buscema, siciliano della provincia di Catania, nelle due righe della «dichiarazione di parte». All’ultima pagina del verbale di fermo ha scritto: «È una vergogna che il governo del mio paese finanzi e sostenga questi criminali»