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Sanità pubblica con i giorni contati. Smentita la narrazione meloniana: il governo stanzia meno della metà dei fondi di Germania e Francia. Quattordici scienziati alla premier: «Tra 25 anni 2 cittadini su 5 avranno più di 65 anni e il sistema non sarà in grado di assisterli»

LA LETTERA. Il governo stanzia meno della metà dei fondi di Germania e Francia. Quattordici esponenti di spicco della ricerca scrivono alla premier: «Tra 25 anni quasi 2 cittadini su 5 avranno più di 65 anni e il sistema non sarà in grado di assisterli»

Sanità, gli scienziati a Meloni: «Salute a rischio per i tagli» Roma, San Filippo Neri - LaPresse

Quello lanciato ieri da 14 grandi nomi della ricerca italiana a difesa del servizio sanitario nazionale non è il solito appello. In primo luogo colpisce il prestigio dei suoi estensori, tra i quali figurano il fisico e premio Nobel Giorgio Parisi, l’immunologo Alberto Mantovani, l’epidemiologo Paolo Vineis, il farmacologo Silvio Garattini, l’oncologo e presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli e i suoi vicepresidenti Paola Di Giulio e Enrico Alleva. Ma è soprattutto il contenuto affilato – e in diretta collisione con l’orientamento dell’attuale maggioranza politica – a farsi notare. Soprattutto se firmato da accademici importanti che solitamente preferiscono tenersi fuori dall’agone politico.

PER DIFENDERE la sanità pubblica, il documento diffuso ieri critica frontalmente le scelte del governo Meloni in materia sanitaria, economica e istituzionale. A partire dallo scarso budget a disposizione del Servizio sanitario nazionale, che mette a repentaglio l’esistenza di un welfare pubblico e universale come quello ereditato dalla riforma del 1978. «I dati dimostrano che il sistema è in crisi» denunciano gli studiosi. «Arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa)».

SI TRATTA di una lettura dei dati oggettivi in netta controtendenza rispetto al trionfalismo di Giorgia Meloni, secondo cui il suo

governo è quello che ha destinato più risorse alla sanità italiana. L’investimento stanziato per la salute dall’Italia nell’ultima legge di bilancio è 131 miliardi e impallidisce rispetto a quelli dei Paesi vicini. Secondo la relazione alle Camere della Corte dei Conti depositata martedì, la Germania investe 423 miliardi e la Francia 271. «A parità di potere d’acquisto – scrivono i magistrati contabili – la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania».

MA ANCHE IL PROSIEGUO del documento non farà piacere al governo. «La spesa sanitaria in Italia – scrivono i quattordici – non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud in termini di diritto alla salute». I periodici monitoraggi del Ssn mostrano che da un anno all’altro il numero di regioni che garantiscono i Lea ai propri cittadini è in caduta libera. Nell’ultimo monitoraggio quelle inadempienti erano state dodici su venti.

IL 29 MARZO UN ACCORDO tra governo e Regioni ha ulteriormente rinviato al 2025 l’entrata in vigore dei nuovi Lea, decisa ormai 7 anni fa, che estenderà il numero di prestazioni da assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La decisione, avallata dal Mef, è passata sopra il parere contrario della Ragioneria dello Stato secondo cui i fondi stanziati per allargare i Lea vengono regolarmente spesi per altre esigenze dalle Regioni.

UN ALTRO NODO nevralgico toccato dall’appello riguarda la riforma dell’assistenza territoriale. «Da decenni si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi sono timidi». È un eufemismo: il governo ha progressivamente tagliato il numero di case di comunità da realizzare con i fondi del Pnrr. Dovevano rappresentare l’ossatura del nuovo sistema di cure primarie, uscite a pezzi dalla pandemia, ma l’ultima rimodulazione del Recovery plan decisa da Meloni lascia a questo scopo risorse per costruirne meno di mille su tutto il territorio nazionale entro il 2026.

NON È CHIARO quali figure – medici di famiglia, specialisti, infermieri di comunità, assistenti sociali – vi opereranno davvero. Il tavolo istituito dal ministero per rivederne l’organizzazione si è riunito un paio di volte in autunno e da allora non se ne è più saputo nulla. Eppure, scrivono i luminari, «il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli».

L’ULTIMO PUNTO dell’appello riguarda la prevenzione. A parole tutti ne riconoscono il ruolo cruciale per la promozione della salute in una popolazione che invecchia. Ma gli investimenti languono da sempre ed è il settore in cui le Regioni sono più inadempienti nel garantire i Lea. «Basta un dato – esemplifica l’appello -. Abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi