«Siamo stufi, chiediamo un accordo con Hamas». Accampati sotto casa di Netanyahu, i familiari degli ostaggi guidano la nuova ondata di proteste contro il premier israeliano. Ma non è aria di cessate il fuoco: a Gaza i morti sono oltre 25mila, il 70% donne e bambini
GUERRA A GAZA. Crescono le proteste contro il premier. A Gaza cimiteri profanati, la denuncia di Cnn
Protesta dei famigliari di alcuni ostaggi detenuti da Hamas - Ap
«Dimettiti, chi distrugge non costruirà, chi distrugge non creerà» ha urlato da un palco nel centro di Tel Aviv, Yonatan Shamriz, fratello di Alon ucciso a Gaza «per errore» dall’esercito israeliano. Intorno, una folla di migliaia di persone riunita sotto la scritta luminosa «riportateli a casa» ha chiesto le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu e del suo governo, innalzando cartelli con le foto degli ostaggi. «Elezioni subito» gridavano anche a Haifa e a Gerusalemme mentre a Cesarea venerdì notte diverse famiglie del «Forum per la liberazione degli ostaggi» si sono accampate fuori dalla casa vacanze di Netanyahu e sono rimaste lì per tutto il giorno seguente. «Le famiglie sono stufe» si legge in una nota, «chiediamo subito un accordo».
INTANTO LA GUERRA CONTINUA e dei 25 mila morti gazawi dichiarati ieri dal ministero della Salute di Hamas il 70% sono donne e bambini. A dirlo è l’Agenzia dell’Onu che promuove l’uguaglianza di genere, Un women, secondo la quale ogni ora nella striscia muoiono due madri. Inoltre, dall’inizio dell’operazione di terra almeno 3 mila donne potrebbero essere rimaste vedove e almeno 10 mila bambini potrebbero aver perso il padre. Dei 2,3 milioni di abitanti del territorio, si legge nel rapporto di Un women, 1,9 milioni sono sfollati e «quasi un milione sono donne e ragazze». In totale, in 100 giorni di conflitto a Gaza le vittime sono quasi 3 volte superiori a quelle complessive degli ultimi 15 anni. Cifre agghiaccianti che però sembrano non influire in nessun modo sull’andamento del conflitto. Secondo Hamas nelle ultime 24 ore i bombardamenti israeliani hanno lasciato a
terra altre 165 persone nella Striscia.
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Nella notte tra venerdì e sabato i bombardamenti dell’aviazione di Tel Aviv hanno bersagliato la parte meridionale della Striscia, concentrandosi sull’area di Khan Younis. Stando all’agenzia di stampa palestinese Wafa, violenti combattimenti si sarebbero svolti nei pressi dell’ospedale Nasser e il bilancio provvisorio sarebbe di ben 29 vittime. Diversi media hanno raccolto testimonianze di sfollati interni che erano già stati costretti a fuggire dalla zona nord di Gaza e che ora stanno abbandonando anche Khan Younis.
Ma più a sud c’è Rafah e poi l’Egitto, di là non si passa. Proprio su Rafah, dove si trova uno dei più grandi campi profughi di sfollati interni, gli aerei israeliani hanno sganciato dei volantini con nomi e fotografie di 33 ostaggi detenuti da Hamas nei quali si invitava la popolazione locale a collaborare per la loro liberazione. «Volete tornare a casa?» si legge in arabo «se riconoscete uno di loro, chiamatelo». Per il governo israeliano attualmente a Gaza si trovano 105 ostaggi in vita e 27 cadaveri, mentre 100 dei rapiti sono rientrati in Israele durante la tregua di novembre.
NEL SUD DI GAZA, secondo la Cnn, i soldati israeliani stanno lasciando dietro di sé una vergognosa striscia di cimiteri profanati. «Lapidi rotte, cumuli di terra e, in alcuni, corpi riesumati» si legge nell’inchiesta pubblicata ieri sul sito dell’emittente statunitense. I cimiteri profanati fino a oggi sarebbero addirittura 16. Stando alle informazioni in possesso della Cnn, a Khan Younis, i militari israeliani hanno distrutto un cimitero e riesumato alcuni corpi, dichiarando che l’operazione era necessaria alle ricerche degli ostaggi.
Secondo le fonti militari citate dal media d’oltreoceano, «i corpi non identificati come quelli degli ostaggi vengono restituiti con dignità e rispetto», lo stesso portavoce non ha però fornito spiegazioni per il danneggiamento degli altri luoghi di sepoltura di cui la Cnn afferma di avere le coordinate esatte. Anche in questo caso, si legge nell’inchiesta, il diritto internazionale prevede che tale operazione potrebbe configurarsi eventualmente come crimine di guerra.
A WASHINGTON SI È CONTINUATO a parlare della telefonata tra il presidente Biden e il primo ministro israeliano Netanyahu. Per Biden, nonostante tutto (e soprattutto, nonostante le dichiarazioni di Bibi stesso) «una soluzione due stati non è impossibile». Una delle opzioni offerte dall’inquilino della Casa bianca all’omologo mediorientale sarebbe quella di una nazione palestinese disarmata o a sovranità limitata. Tuttavia, secondo il gabinetto di Bibi, la posizione di Tel Aviv continua a essere che «Israele deve mantenere il pieno controllo della sicurezza della Striscia per garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele, e questo è in conflitto con la richiesta di sovranità palestinese».
Ieri anche Hamas ha commentato il colloquio telefonico dichiarando che «vendere l’illusione che Biden, un partner a pieno titolo nella guerra del genocidio, stia cercando di parlare dello Stato palestinese non inganna il nostro popolo