Schlein conferma la sterzata sull’Ucraina: «Mai più deleghe in bianco al governo». I dem, ma anche Conte, chiedono di riconoscere lo stato di Palestina. Fratoianni raccoglie firme per condannare Netanyahu. A sinistra è competizione sulla pace con vista sulle europee
GUERRE. La leader Pd conferma: «Mai più deleghe al governo in politica estera». Resta il sostegno a Kiev. Il capo 5S: i leader non corrano alle europee. Gentiloni annuncia: non mi candido, torno in Italia. La segretaria dem: il partito è casa sua
Mercoledì in Parlamento «non c’è stata un’astensione del Pd sul pieno supporto sull’Ucraina. Abbiamo votato compattamente la nostra mozione che prevede un sostegno anche militare a Kiev e chiede alla Ue uno sforzo diplomatico molto più forte di quello che c’è stato finora. Ma ci siamo astenuti sul testo del governo perché non diamo più deleghe in bianco sulla politica estera a un esecutivo che non ha fatto nulla sul piano diplomatico». Elly Schlein, incontrando i giornalisti per presentare il convegno di oggi in Campidoglio per ricordare David Sassoli a due anni dalla morte, mette i puntini sulle “i” rispetto alla posizione del partito sull’Ucraina.
Il decreto che prevede il rinnovo del sostegno militare a Kiev (che arriverà in aula a fine gennaio), sarà votato dai dem, pur con alcuni dissensi individuali che già si erano manifestati l’anno scorso. Ma il punto ora è segnare una distanza dalla linea di Giorgia Meloni. «In questo anno l’unica iniziativa diplomatica del governo è stato l’annuncio di un piano fatto nella telefonata di Meloni con i due comici russi. Ma di quel piano non c’è traccia», spiega Schlein.
AL NAZARENO NON considerano i 9 voti a favore del testo della maggioranza (tra loro anche l’ex ministro Guerini) come una fronda verso la segretaria. Anche se l’ex responsabile Esteri Lia Quartapelle, ieri in un’intervista, ha usato parole dure. «Manca una posizione chiara e netta sull’Ucraina. Formalmente Schlein dice le parole che si devono dire. Ma si vede quando non ci mette il cuore». La segretaria non replica alle critiche interne e tira dritto: «La mozione del governo non si poteva votare, era uguale a
quello dell’anno scorso, dal governo non si vedono iniziative per la pace».
«Calenda e Renzi ci accusano di essere subalterni ai 5 stelle perché non votiamo col governo? Dovrebbero chiedersi se non sono loro a essere subalterni al governo Meloni», dice Arturo Scotto che definisce il voto di mercoledì «una maturazione di linea politica. Dopo due anni è chiaro che non bastano le armi».
I DEM STANNO ANCHE lavorando a una mozione sul Medio Oriente, che dovrebbe arrivare in aula a fine gennaio. Il cuore del documento sarà un invito al governo a riconoscere lo Stato di Palestina: il Parlamento italiano si è già espresso a favore su questo tema nel 2015, ma poi l’impegno non ha avuto effetti pratici. Ora il Pd intende chiedere al governo di riaprire il dossier, e di fare come ha fatto il governo spagnolo di Pedro Sanchez.
Nel testo ci sarà anche la richiesta di cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi e la condanna delle violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania. Anche Conte ieri si è fatto sentire. «L’Italia dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina. Il governo di Netanyahu va fermato e condannato. E tutta l’Ue, tutti gli Stati, devono agire per dire a Netanyahu che quello che sta facendo è inaccettabile. Ma lo Stato italiano è ignavo».
LA COMPETIZIONE SUL TEMA della pace, tra Pd e M5S, da qui alle europee di giugno è destinata a crescere di volume. Sullo stesso tema insiste anche Sinistra italiana, che ha lanciato una petizione online per chiedere che Netanyahu venga processato per crimini di guerra, come chiesto dal Sudafrica alla Corte dell’Aja. Già raccolte in poche ore oltre 20mila firme. Nel testo si chiedono «indagini internazionali e indipendenti sui crimini di guerra commessi». «Quello a cui stiamo assistendo», si legge sulla pagina Facebook di Si- è un genocidio di fatto del popolo palestinese nella Striscia di Gaza, poiché appare chiara ‘”l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”, come recita l’art. 2 della convenzione Onu sul genocidio del 1948, sottoscritta da Israele».
IN CASA PD SI REGISTRA anche l’annuncio di Paolo Gentiloni: «Non mi candiderò al Parlamento europeo, la mia intenzione è tornare in Italia, ma non vado in pensione». Schlein non legge, almeno per ora, questa decisione come un preannuncio di sfratto dalla segreteria: «Continueremo a ringraziarlo per il ruolo che ha avuto e sono certa che continuerà ad avere nel Pd: questa è casa sua». Da Conte arriva invece una stoccata a Schlein sulla possibile corsa alle europee: «Candidarsi sapendo che non si siederà al Parlamento europeo è una presa in giro verso i cittadini. Io non lo farò e spero nemmeno gli altri leader». Se Schlein correrà, il fuoco amico del leader 5s è garantito