È esodo verso sud: a Gaza migliaia e migliaia di palestinesi in marcia, a piedi, in cerca di una salvezza che non c’è. Tel Aviv boccia la pausa umanitaria, solo qualche ora senza bombe, «qua e là». Nazioni unite: «Non siamo più in grado di fornire l’assistenza necessaria»
GAZA. A Gaza palestinesi in fuga con addosso solo i vestiti: manca il cibo e manca l’acqua, nella speranza di una pausa umanitaria. Sono ormai 11mila gli uccisi nella Striscia. Tel Aviv schiera la 252° divisione: non succedeva dal 1982. Hamas rivendica in un video i danni inflitti all’esercito israeliano. E i razzi partono ancora
Gaza, l'esodo di migliaia di palestinesi da nord e sud
Migliaia di civili palestinesi, un flusso lungo chilometri, donne con in braccio i figli, anziani a passo lento, uomini stremati dalla fatica e dalla sete, perché l’acqua è difficile tra trovare, anche ieri hanno abbandonato il nord di Gaza ridotto in macerie, senza più neppure le panetterie. Un esodo che ha riportato alla memoria di tanti le scene della Nakba nel 1948 e volto a raggiungere il sud della Striscia, alla ricerca della salvezza che nessuno potrà mai garantire a questa gente sino a quando continueranno i bombardamenti aerei israeliani. I nuovi arrivati a sud hanno trovato poco o nulla per rifocillarsi. Manca tutto e serve tutto. Si sono avviati alle mense all’aperto delle associazioni di carità sperando di poter mangiare qualcosa. Foto che hanno fatto il giro del mondo mostravano ieri bambini palestinesi con ciotole in mano in attesa di un pugno di riso e un po’ di pane.
Terminate le poche ore in cui i comandi israeliani permettono di percorrere il «corridoio sicuro» sulla superstrada Salah Edin, il flusso di sfollati dal nord si è subito interrotto. Gli oltre due
milioni di palestinesi si sono rifugiati in ogni luogo possibile, per sottrarsi al buio totale della notte di Gaza illuminata dai bagliori delle esplosioni delle bombe che portano la morte. Raid aerei che potrebbero fermarsi ma solo per poche ore, al massimo un paio di giorni. Non una tregua. Non la vuole Israele e neppure l’Amministrazione Biden, come ha ribadito il Segretario di Stato Blinken. Solo una «pausa umanitaria» di 24-48 ore per permettere la distribuzione di aiuti alla popolazione in cambio della liberazione di una dozzina dei 241 ostaggi israeliani e stranieri nelle mani di Hamas e di altre organizzazioni. Sarebbe questa l’intesa che Qatar ed Egitto, con il sostegno dell’Amministrazione Biden, avrebbero raggiunto con il movimento islamico. Ieri sera, sempre secondo queste indiscrezioni, si attendeva la risposta di Israele che potrebbe accettare, anche per le pressioni dell’Amministrazione Biden che vuole riportare a casa gli americani prigionieri a Gaza. Ci sono anche voci di trattative per calmare il confine tra Libano e Israele dove ieri l’esercito israeliano e i combattenti di Hezbollah si sono scambiati razzi anticarro e cannonate.
Il gabinetto di guerra guidato da Benyamin Netanyahu mette le mani avanti. Sarà solo una breve interruzione dell’attacco contro Gaza, poi i bombardamenti e l’avanzata dei carri armati dentro la Striscia procederanno senza altri impedimenti. Non ci sono limiti di tempo all’operazione di terra che Israele sta conducendo, ha ribadito Benny Gantz, uno dei membri dell’esecutivo ristretto formato dal premier Netanyahu per combattere la guerra contro Hamas ma di fatto contro tutti i palestinesi di Gaza. Si tratta, ha detto Gantz a un gruppo di giornalisti a Tel Aviv, «di una guerra esistenziale, sia in termini di sicurezza di Israele, sia per preservare i valori sionisti e democratici dello Stato» che, a suo dire, sarebbero minacciati da Hamas, la cui distruzione resta «l’obiettivo strategico» dell’offensiva militare in corso che ha causato quasi 11mila morti e oltre 25mila feriti tra i palestinesi, oltre alla distruzione totale o parziale di decine di migliaia di case e palazzi.
I media internazionali cominciano ad allentare l’attenzione sulle conseguenze per i civili dell’enorme potenza militare dispiegata da Israele: è operativa l’intera 252esima divisione della riserva, non accadeva dall’invasione israeliana del Libano nel 1982. Eppure, ieri ci sono state altre stragi di civili sotto le bombe sganciate dagli F-16 e dai droni. I palestinesi hanno riferito di 20 uccisi nell’ennesimo bombardamento sul campo profughi di Jabaliya e della famiglia Hatoum decimata da una bomba caduta sulla sua abitazione a poche decine di metri dall’ospedale Shifa che Israele ritiene una copertura per una base di Hamas. Decine di morti e feriti in altri raid aerei a nord come a sud di Gaza, in particolare a Deir Al Balah.
Israele, che ha perduto a Gaza 33 soldati dall’inizio dell’offensiva di terra, continua a diffondere comunicati di successi militari e di progressi nell’accerchiamento di Hamas e della sua leadership. Il suo esercito avrebbe distrutto 130 pozzi e gallerie sotterranee usate dai militanti del movimento islamico ed eliminato un altro comandante nemico. Gli account social vicini alle Forze armate e ai servizi di intelligence ieri scrivevano che le distruzioni di massa hanno talmente cambiato la faccia del nord di Gaza che gli uomini di Hamas, uscendo dai tunnel, non riconoscerebbero il luogo in cui si trovano a combattere. Non è questa però l’impressione che si ricava guardando un video diffuso ieri dalle Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas. Le immagini mostrano giovani con lanciarazzi che colpiscono con precisione carri armati e mezzi corazzati. Non è chiaro se le esplosioni che si intravedono abbiano provocato danni o perdite tra gli equipaggi dei mezzi israeliani. In ogni caso indicano che Hamas mette a segno azioni di guerriglia, oltre a lanciare razzi verso Israele: non ha smesso di farlo un solo giorno dal 7 ottobre. Le Brigate Qassam sostengono anche di aver causato perdite significative a una unità israeliana caduta in un agguato a Sheikh Ajleen, a sud di Gaza city.
Dal Libano, Saleh Aruri, il numero due della direzione politica del movimento islamico, in uniforme da combattimento, ha assicurato ieri che «non avranno fine gli attacchi» ai reparti israeliani entrati a Gaza. Due leader politici di Hamas, intervistati dal New York Times, hanno detto di considerare un successo l’attacco nel sud di Israele il 7 ottobre in cui sono rimasti uccisi 1400 soldati e civili. Secondo Khalil al-Hayya, sarebbe stato necessario «per cambiare l’intera equazione e non limitarsi ad avere uno scontro…Siamo riusciti a rimettere sul tavolo la questione palestinese e ora nessuno nella regione è tranquillo»