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COSTITUZIONE. Meloni mette le mani avanti: «Se non passa io resto». Quasi azzerati i poteri del Capo dello Stato. Le opposizioni: un pericoloso pasticcio. Gelo di Salvini. Buio sulla legge elettorale che garantirà il 55% dei seggi al vincitore

Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani durante la conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri foto Ansa Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani durante la conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri - Ansa

Il mostro giuridico del premierato Frankenstein è stato ufficialmente varato ieri dal consiglio dei ministri. Meloni, dopo il consiglio dei ministri, ha usato toni enfatici definendo quella appena partorita la «madre di tutte le riforme», una «rivoluzione che ci porta nella terza Repubblica, mai più governi tecnici e ribaltoni». Ha precisato che il suo vero obiettivo era l’elezione diretta del presidente della Repubblica, e ha definito questo testo una sorta di mediazione per «salvaguardare il ruolo di garanzia del Quirinale che è molto apprezzato dagli italiani».

E anche per cercare «il consenso più ampio anche tra le opposizioni». Ma è stata molto attenta a mettere le mani avanti, memore della disastrosa esperienza di Renzi: «L’esito di questa riforma non avrà nulla a che fare con l’andamento del governo. Io ho fatto quello che dovevo fare e ora consegno la proposta al Parlamento e poi agli italiani col referendum: serve all’Italia, non a me».

MELONI E LA MINISTRA delle Riforme Casellati insistono nel

definire quello approvato «un intervento minimale» che «non tocca i poteri del Capo dello Stato», ma si limita a «restituire ai cittadini il potere di scegliere i governi» e a garantire agli esecutivi «maggiore stabilità». La premier, a domanda, spiega anche durante l’iter «ci sono state interlocuzioni con gli uffici del Quirinale». Ma si tratta solo di propaganda.

Il ddl interviene pesantemente sui poteri del presidente della Repubblica, privandolo del ruolo di regista a inizio legislatura e durante le crisi di governo. Il Capo dello stato, se il testo sarà approvato, si limiterà a «conferire l’incarico» al presidente eletto e a nominare, in caso di sue dimissioni, «un altro parlamentare della stessa maggioranza», a sua volta obbligato dalla Costituzione ad «attuare gli indirizzi politici e gli impegni programmatici» del predecessore.

IN CASO DI CRISI del secondo governo, lo scioglimento delle camere è un obbligo costituzionale. Lo stesso drastico ridimensionamento toccherà al Parlamento, che dovrà limitarsi ad approvare quanto deciso dal premier, consapevole che, in caso contrario, si va tutti a casa. Non è un caso che i partner minori di Fdi, Salvini e Tajani, abbiano insistito per inserire la norma sul secondo premier: per loro sarebbe l’unica possibilità per tenere a freno lo strapotere del premier eletto (con questi numeri al prossimo giro la candidata sarà Meloni) e per tentare di soffiarle il posto.

Non a caso ieri Salvini si è limitato a poche parole di circostanza, ribadendo l’importanza della sua riforma sull’autonomia. Ma Meloni precisa: «Il rispetto del programma viene inserito in Costituzione, dunque cambiare linea politica sarà incostituzionale».

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ANCORA PIÙ INQUIETANTE il capitolo che riguarda la costruzione della nuova maggioranza. La nuova Costituzione prevede una legge elettorale che «garantisca il 55% dei seggi» alle liste collegate al premier. Ma su come arrivarci è buio fitto. «Ci sto già lavorando», assicura Casellati, «anche in questo caso ci sarà un’ampia consultazione». Spiega che «ci sarà l’indicazione di una soglia» per poter accedere al premio e apre all’ipotesi che sia addirittura superiore al 55% dei seggi.

Meloni non esclude il ballottaggio, nel caso in cui nessun candidato premier raggiunga il 50%: «Non lo abbiamo introdotto e neppure escluso, su questo sono laica». Confermata l’assenza di un numero massimo di mandati del premier, cosa che fa infuriare i sindaci che chiedono, con il presidente Anci Antonio Decaro, di levare il tetto di due mandati anche per loro.

NEI PROSSIMI MESI dunque le Camere saranno chiamate a votare (due volte per ogni ramo del Parlamento) un disegno di legge che non ha eguali nel mondo occidentale, che consegna al premier eletti molti più poteri di quelli dei presidenti di Francia e Usa (che devono rispondere alle Camere) e senza neppure sapere con quale legge sarà garantita al capo una maggioranza blindata in Parlamento. «Una riforma pasticciata e pericolosa che limita le prerogative del presidente della Repubblica e smantella la forma parlamentare. Non è un caso che la presentino proprio ora per coprire il fatto che nella manovra mancano le risposte sul terreno economico e sociale», il giudizio di Elly Schlein. «Una riforma assolutamente immotivata con dei principi pericolosi per la tenuta democratica delle istituzioni», le fa eco Stefano Patuanelli del M5S.

CALENDA CONIA L’ESPRESSIONE «italierato»: «Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è un premierato, non è presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo». Dubbi anche in Italia Viva, l’unica opposizione che aveva manifestato apprezzamenti: «Mi pare ci siano un po’ di pasticci», dice Raffella Paita. Nicola Fratoianni annuncia battaglia: «Non passeranno. La Costituzione va attuata non demolita».

Riccardo Magi, di +Europa, chiama ad una «grande mobilitazione per evitare la morte della repubblica parlamentare». Dura la Cgil: «Un sovvertimento della Costituzione che ci farebbe assomigliare più a una democratura che a una democrazia matura». Anche tra i costituzionalisti già ci si prepara alla campagna per il no: «Eravamo in campo nel 2016 contro la riforma di Renzi e penso lo saremo anche oggi», dice Massimo Villone. Stefano Ceccanti, uno dei sostenitori della riforma 2016, parla di una riforma «incamminata su un binario del tutto sbagliato»