«Non sei la benvenuta», così gli studenti accolgono Meloni a Torino. La polizia li carica tre volte: cinque feriti. Vietato contestare la premier, venuta a difendere davanti alle regioni i tagli alla sanità. Ma in difficoltà, perché mette la firma sulla bancarotta della salute
Al Festival delle Regioni di Torino la premier in affanno: «Materia difficile, non basta investire se non si spende bene»
Foto di gruppo per Giorgia Meloni al festival delle Regioni a Torino - Ansa
Come faccia tosta Silvio Berlusconi era impareggiabile. Giorgia Meloni però prova almeno a emularlo. L’uscita di ieri sulla Sanità, nel discorso al Festival delle Regioni di Torino pronunciato mentre fuori dal palazzo la polizia manganellava a volontà, è una vetta. «Sarebbe miope perseguire l’obiettivo comune di una sanità efficiente ed efficace per tutti concentrando tutta la discussione sull’aumento delle risorse. Dobbiamo aver un approccio diverso e concentrarci con coraggio, lealtà e verità su come le risorse vengono spese». Non che abbia torto, per carità. Ma quando i soldi non ci sono spenderli bene è proprio impossibile e non ci sono coraggio e lealtà che tengano.
Ma l’esercizio di alto equilibrismo sulla sanità, come del resto l’intero discorso a tutto campo da Torino, è eloquente. Rivela quanto la premier si senta in difficoltà nonostante i consensi premino il suo partito, l’unico a crescere mentre tutti gli altri perdono decimali. In realtà lo ammette anche lei: «La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, in un contesto molto complesso, è una materia sempre più difficile da affrontare». Anche in questo caso darle torto sarebbe impossibile: la vera colpa grave del suo governo è aver sprecato un anno tutto sommato ancora facile, o almeno più facile di quelli che verranno, cullandosi nell’inspiegabile illusione che invece le cose si sarebbero fatte più facili.
La premier è tornata anche sulla Nadef ed è stata ancora più chiara del solito: «I margini di manovra sono limitati», naturalmente per colpa dei governi precedenti che avevano fatto «le scelte più facili». Significa che, oltre alla conferma del taglio del cuneo fiscale che per il governo è una bandiera ammainata la quale resterebbe solo la resa, non si potrà fare niente. «Qualche passo avanti se possibile» ma senza farsi illusioni: solo «segnali» e in politica il termine si traduce con quasi niente. Questione di tempo, sia chiaro: «Il vantaggio è che abbiamo un orizzonte di legislatura». Lo svantaggio è che la temperie, stando a segnali e previsioni, sarà più scura e difficile, non più luminosa, mentre si marcia verso quell’orizzonte di gloria.
È SIGNIFICATIVO che il giorno dopo l’intemerata contro la sentenza di Catania, arrivata a livelli mai raggiunti neppure da Berlusconi, Meloni si sia affannata per
abbassare la tensione. Non nel discorso ai rappresentanti delle Regioni ma prima, parlando con i giornalisti, dunque rivolgendosi direttamente al Paese. Ma quale attacco alla magistratura: «Ognuno ha l’autonomia di pensiero, io ho il mio ma non è uno scontro, solo un tema che riguarda una sentenza specifica». La retromarcia è palese. La premier non vuole arrivare a uno scontro frontale che spaccherebbe il Paese e forse costringerebbe il capo dello Stato a intervenire sulla separazione delle carriere. In una fase segnata dal suo estremo e crescente nervosismo non si era resa conto di quanto la sua carica a testa bassa agevolasse il compito di chi invece vuole spingerla proprio in quella direzione. Non tanto il comunque mite Tajani quanto Salvini, che non ha perso un attimo per mettere la posta grossa sul tavolo.
LA PRESIDENTE ha dedicato in realtà alle riforme una parte centrale del suo discorso. Ma in mente ne ha solo una, quella che interessa lei e il suo partito: «Quello che viene sarà l’anno delle riforme con cui intendiamo cambiare l’architettura istituzionale per dare agli italiani la possibilità di scegliere da chi farsi governare». Insomma il premierato.
CERTO ANCHE L’ELEZIONE diretta del premier è un tema destinato a spaccare il Paese, ma su quel fronte Meloni è convinta di avere partita vinta facilmente grazie alla retorica del diritto dei cittadini a scegliere loro chi li dovrà governare e non le manovre di palazzo o i giochi delle segreterie di partito.
SULL’AUTONOMIA differenziata e sulla divisione delle carriere la spaccatura sarebbe più profonda e allo stesso tempo l’esito dello scontro più incerto. In una fase come quella che la aspetta, con il macigno del debito al collo, senza un soldo per mantenere le promesse, costretta a giochi di parole come quello di ieri sulla sanità, di infilarsi in una simile guerra Giorgia Meloni ha ben poca voglia