LA CRISI DEM. Nella prima riunione del comitato costituente Orlando e Speranza hanno criticato l'impianto liberista. Provenzano: «Cambiamenti necessari», Lepore: «Alcuni hanno paura della parola lavoro». Nardella entra nella squadra di Bonaccini. Schlein: nessuna scissione se vinco
La Presse
Si accende lo scontro sull’identità del nuovo Pd. Giovedì la prima riunione del comitati dei 100 che deve riscrivere il manifesto dei valori ha visto l’ala sinistra tentare di mettere in discussione le tesi liberiste che furono le fondamenta dnel 2007. Da Roberto Speranza a Andrea Orlando, da Nadia Urbinati a Emanuele Felice è partito un attacco alle tesi blairiane che ispirarono la nascita del partito.
NEL MIRINO IN PARTICOLARE un passaggio dell’attuale manifesto che indica come «compito dello Stato» non «interferire nelle attività economiche, ma fissare le regole per il buon funzionamento del mercato, per mantenere la concorrenza anche con politiche di liberalizzazione».
«Un manifesto impregnato di ordoliberismo e di antipolitica», la tesi di Orlando che ha chiesto un referendum sulla proposta del sindaco di Bologna Matteo Lepore di aggiornare il nome
in «Partito democratico e del lavoro». Già in quella sede si sono espresse opinioni diverse, come quella di Filippo Andreatta che ha richiamato il «capitalismo ben temperato» di Romano Prodi, e il mercato come «miglior strumento di crescita economica».
IERI È PARTITO IL CONTRATTACCO dei cosiddetti riformisti, in difesa dello “spirito del Lingotto”, e cioè dell’impostazione originaria di Veltroni. «Quel manifesto rimane valido nelle sue ispirazioni fondamentali.», dice il tesoriere Walter Verini. «Consiglio a tutti un approccio più laico, senza damnatio memoriae e pulsioni rottamatrici». La carta dei valori il Pd ce l’ha: è quella del Lingotto», rincara un altro veltroniano come Roberto Morassut.
Dall’ala destra del partito arrivano giudizi più sprezzanti come quello ritwitatto da un padre nobile come Arturo Parisi: «Invece che alla prima riunione del Comitato costituente del nuovo Pd sembrava d’essere alla ricostituzione di Dp, Democrazia proletaria». Giorgio Tonini, uno dei componenti del primo “comitato dei 12” del 2007 (di cui faceva parte anche Mattarella), ironizza citando Marx che cita Hegel e la storia che si presenta «la prima volta come tragedia e la seconda come farsa». Quel manifesto è una grande innovazione, guai a buttarlo», tuona Debora Serracchiani.
STEFANO CECCANTI, TRA GLI autori dello statuto dem, scrive a Letta e denuncia la «falsa partenza, spero rimediabile» dei lavori. E, in punta di diritto, pone lo stesso problema che giovedì aveva posto Urbinati: quali sono i poteri reali di questo comitato? E dell’assemblea che, in scadenza di mandato, approverà il nuovo manifesto a gennaio? « Dobbiamo solo aggiornare la Costituzione o cambiare di Costituzione?», la domanda del politologo.
E in effetti è chiaro che l’identità del nuovo Pd dipenderà in larga parte da chi sarà il nuovo leader. E che sarà molto difficile imbrigliare un segretario «riformista» come Bonaccini in una prospettiva laburista e di sinistra. «Il rischio è che ci siano due percorsi paralleli che non si incrociano», avverte Cesare Damiano.
IL VICESEGRETARIO USCENTE Peppe Provenzano difende il lavoro dei costituenti: «Dal 2007 il mondo è stato stravolto da crisi epocali: Ma oggi scopriamo che non si può scrivere un nuovo Manifesto del Pd e che va bene quello che diceva allora. Pretesa singolare in un Congresso “costituente”…».
E attacca i «sedicenti riformisti, di fatto conservatori»: «Ad alcuni non interessa stare nel merito di una discussione che la sinistra di tutto il mondo sta facendo, ma solo cambiare il segretario». E Lepore constata amaro: «Il Pd ha paura della parola “lavoro” perché una parte del gruppo dirigente la considera del ‘900, da archiviare».
BONACCINI SI TIENE ALLA LARGA da queste discussioni che lui stesso ha definito «filosofiche». Oggi sarà a Firenze con Dario Nardella per annunciare l’ingresso nella sua squadra del sindaco che sarà con tutta probabilità a capo del comitato elettorale per il congresso. E lancia una pagina web destinata a raccogliere suggestioni degli elettori: «Vogliamo costruire un partito più forte, più robusto. Abbiamo bisogno di una vera e propria energia popolare».
Il suo tour per l’Italia partirà il prossimo fine settimana da Bari, da quel sud dove la sua popolarità è ancora piuttosto bassa. Domani l’evento a Roma in cui Schlein si candiderà. E il sindaco di Bergamo Gori, già turborenziano, annuncia: «Non so se resterei in un partito guidato da lei».
«Non penso che ci sia un rischio di scissione se dovessi vincere, è un messaggio sbagliato», la replica di Schlein. «Se saremo in campo, ci resteremo qualunque sia l’esito del congresso». E ancora: «Domenica annunceremo un percorso collettivo, una visione che vogliamo costruire assieme. Io darò la mia disponibilità ad andare avanti nel congresso; il mio appello è rivolto alla base e agli elettori delusi. Col M5S ci sono molti punti di contatto sul tema del lavoro».