INTERVISTA. Il segretario di Si: «Tra gli under 24 siamo al 10%. L’autocritica di Letta su Draghi e guerra? Meglio tardi che mai, l’Ue si svegli. Saremo in piazza per la pace, come sempre. Rispetto il dibattito dei dem, ma la sinistra non si esaurisce con loro. Hanno rimosso il conflitto tra capitale e lavoro
Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. Il centrosinistra ha perso nettamente, sta per partire la legislatura più a destra della storia repubblicana. Che stagione sarà?
Per noi si apre una stagione di opposizione netta, nel parlamento e nel paese. Una opposizione che sarà anche sociale, e che va alimentata. Questo sarà il compito dei nostri gruppi parlamentari. E lanciamo una sfida: presenteremo subito una proposta per una legge elettorale proporzionale con le preferenze: così vedremo chi tra i tanti critici del Rosatellum è disposto a cambiare per davvero.
Il Pd si lecca le ferite, voi invece siete moderatamente soddisfatti. Eppure siete poco sopra il 3%.
Per noi è il miglior risultato degli ultimi 15 anni, superiore anche a quello di Sel del 2013. Alla Camera siamo al 3,65%, c’è una piccola crescita. Ma la cosa che più mi soddisfa è il voto giovanile: nella fascia tra 18 e 24 anni siamo al 10,6%, tra i 18 e 34 al 7%, Un dato molto incoraggiante, su cui investire. che dimostra come la nostra proposta ha incrociato la radicalità sociale e ambientale dei più giovani. Bisogna subito ricominciare a costruire una alternativa in grado di essere competitiva con le destre già dalle regionali che ci saranno tra pochi mesi. La destra non ha la maggioranza nel paese.
Eppure Fdi ha avuto un risultato molto forte. Solo un rimescolamento di voti a destra o si tratta di uno sfondamento sociale?
C’è sicuramente un rimescolamento di voti a destra, i flussi dicono che la gran parte dei voti a Meloni arrivano da Lega e Forza Italia. Poi è chiaro che c’è l’ennesimo investimento di una società sempre più impoverita e impaurita su una potenziale novità, su un’altra possibilità. Negli ultimi anni è successo prima con Renzi, poi con M5S e Lega. Questa è una destra molto diversa dal berlusconismo anni 90, di fronte alla crisi della globalizzazione ha organizzato un discorso che offre un rifugio nell’identità nazionale, etnica e religiosa. E noi dobbiamo intervenire su questo bisogno di protezione con una radicale discontinuità rispetto a un centrosinistra che negli ultimi anni è stato percepito come elitario e non in grado di offrire risposte alla crisi sociale.
La rimonta del M5S si spiega con l’attenzione ai più deboli?
La loro non è una vittoria, hanno perso 6 milioni di voti dal 2018. Ma c’è stato un forte recupero attorno a due elementi: il baluardo del reddito di cittadinanza che diventa simbolo di difesa di chi è socialmente più fragile; e la mancata fiducia a Draghi che ha consentito a Conte di presentarsi agli elettori come un elemento di alterità rispetto a quell’esperienza di governo. Anche se il M5S ne aveva fatto pienamente parte.
Oggi siete più vicini al M5S o al Pd?
Questo inedito assembramento a sinistra non mi dispiace affatto. Per anni in questo paese dirsi di sinistra veniva considerata una colpa, oggi nelle battaglie su lavoro, salario minimo, precariato e rinnovabili, più siamo e meglio è. Siamo stati soli per lungo tempo. Col M5S ci sono molti elementi di affinità, lavoreremo per costruire convergenze in parlamento e nel paese. Così faremo col Pd.
Ora il Pd con Letta fa mea culpa sull’agenda Draghi e sul non aver parlato di pace.
Meglio tardi che mai, meglio poco che nulla. Però dico anche «mannaggia». Per mesi abbiamo sostenuto che l’agenda Draghi non poteva essere un programma per il futuro. Ho tentato di avvertirli in tutti i modi che non sarebbe stata attrattiva nelle urne. Così sulla guerra: c’è stata una discussione irragionevole su un atlantismo mistico e fideistico, la cui prima vittima è stato l’europeismo. In ogni caso, se cambiano idea questo aiuta ad organizarci meglio per il futuro.
I dem, con Andrea Orlando, dicono di voler scegliere con chi stare nel conflitto sociale.
Il problema è decidere se il conflitto sociale va rimosso dalla storia o è il cuore di qualunque possibile trasformazione. Il Pd ha espulso dalla sua agenda il conflitto tra capitale e lavoro.
Cosa accadrà in quel partito?
Guardo con rispetto al loro congresso, consapevole che quello che succede nel Pd non è irrilevante. Ma il tema della sinistra non può essere rinchiuso nel dibattito interno al Pd. Vive anche altrove, ad esempio nell’ecologismo di sinistra che noi rappresentiamo. La strada che vogliamo seguire noi è fare battaglie concrete: la tassa sugli extraprofitti al 100%, le leggi contro il precariato. Credo che così si parli alla società in modo più diretto rispetto a un dibattito intorno alla propria identità.
Pensa che il Pd diventerà una forza laburista?
Me lo auguro. Finora non è successo e la costituzione materiale di quel partito non incoraggia questa prospettiva. C’è anche un tema di credibilità. Ho festeggiato quando Letta ha detto di voler archiviare il Jobs Act. Ma se un partito è staro protagonista di scelte come quelle poi è difficile che la gente si fidi quando presenti un programma in controtendenza, cosa che il Pd ha fatto.
Nelle prossime settimane ci saranno piazze per la pace.
Noi ci saremo, come sempre. Ora più che mai di fronte all’ennesima escalation e all’incubo nucleare è chiaro che con le armi non si arriva alla pace. Per questo è necessario manifestare, chiedere che l’Europa sia finalmente protagonista di uno sforzo diplomatico che coinvolga tutte le grandi potenze.
Dopo vari riconteggi in Parlamento è stata eletta anche sua moglie Elisabetta Piccolotti.
É una dirigente politica da vent’anni, ben prima che ci incontrassimo. La sua storia parla per lei. E mi piacerebbe che si iniziasse a parlare del “marito di”, superando per sempre questa insopportabile coltre di maschilismo.