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IL GIOCO NON VALE LA CALENDA. Il segretario dem apre ad Azione e chiude
definitivamente ai 5 Stelle.
L’avvocato: «Noi coerenti con il programma, saremo il terzo incomodo»
Letta traccia il campo: «O noi o Meloni». Conte: «Da soli al voto» Enrico Letta e Luigi Di Maio - Ansa
Enrico Letta disegna davanti alla direzione del Pd la strategia che condurrà, sotto l’insegna del listone dei Democratici e Progressisti, alle elezioni del 25 ottobre. «Il risultato delle elezioni dipende dal risultato della nostra lista» spiega il segretario dem. Il criterio delle alleanze viene illustrato con una premessa: «Questo non è il Mattarellum, ma il Rosatellum». Dunque la logica è rovesciata: la legge elettorale prevede «accordi elettorali» e non coalizioni politiche vere e proprie. Per questo non c’è bisogno neppure di un programma comune.

IL PD INTENDE dialogare con forze che non siano il «trio dell’instabilità» che ha fatto cadere il governo Draghi. Dunque porte chiuse al Movimento 5 Stelle, anche se Letta ci tiene a difendere il lavoro fatto dal suo predecessore al Nazareno Nicola Zingaretti e rivendica il dialogo intrattenuto in questi anni con Conte. «Senza quel lavoro fatto col M5S il governo Draghi non sarebbe mai nato», dice il segretario. Ne ha anche per Forza Italia, che entra nel club degli irresponsabili, ma il cui atteggiamento, secondo Letta, apre spazi di manovra verso il centro, anche perché sottolinea che con i berlusconiani in questi anni il Pd ha «lavorato bene». Il lavoro sporco dello svuotamento del mondo forzitaliota è con tutta evidenza affidato a Carlo Calenda. Ma nel pomeriggio il leader Pd ha incontrato nella sede della fondazione Arel Luigi Di Maio e Beppe Sala. Il sindaco

di Milano ha precisato di essere venuto a Roma «per dare una mano» ma ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto.

GLI ACCORDI elettorali, prosegue Letta, seguiranno tre criteri: «Discuteremo con forze politiche che portino valore aggiunto, che portino spirito costruttivo e non insulti perché non ci vuole niente per infiammare il paese, che non pongano veti». Almeno due di queste condizioni sembrano pensate per escludere Matteo Renzi, che ieri ha annunciato di voler correre da solo. I candidati di Articolo 1 verranno inclusi sotto il simbolo della casa madre assieme a quelli di Demos, movimento vicino a Sant’Egidio. Hanno il merito, dice Letta, di aver partecipato agli incontri delle Agorà, che nella sua ricognizione hanno rivoluzionato il modo di discutere delle cose costringendo tutti, al di là dei titoli o delle cariche di partito «a dimostrare in interventi di cinque minuti di avere buone idee».

DELLE PARTITA, nei piani di Letta, dovrebbe essere l’accordo rossoverde di Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, che ha presentato il simbolo elettorale e che nasce anche per distinguersi dall’agenda Draghi. Non che la continuità col programma dell’ex ministro della Bce convinca tutti. «Sappiamo che il governo Draghi si è svolto nel nome dell’emergenza, come fatto eccezionale e irripetibile, con una necessaria riduzione della sovranità dei partiti – afferma Goffredo Bettini – Non dobbiamo affrontare, come da più parti ho sentito dire, la campagna elettorale come meccanico proseguimento di quella esperienza». Bettini chiede anche di «verificare bene il rapporto con il patto repubblicano di Calenda», considerato portatore di veti a sinistra. Anche il ministro del lavoro Andrea Orlando rivendica la costruzione di «un sistema di alleanze che non entri in contraddizione con il messaggio che vogliamo costruire».

LETTA SI definisce un «front runner». «A destra – spiega – hanno deciso di tralasciare qualsiasi elemento di realtà pur di non dividersi e prendere il potere». Ma è proprio sul rischio che anche al centrosinistra resti vago sui temi lo incalza Orlando: «Se dobbiamo autocensurare il nostro messaggio per tenere in piedi una alleanza tecnica, rischiamo di rinunciare a larga parte della potenza di fuoco del messaggio proposto oggi dal segretario». Per il segretario, le destre «faranno leva come sempre sulla paura evocando complotti, facendo le vittime e dando la colpa ad altri, che siano rossi, neri, migranti o intellettuali di sinistra. È quello che fanno Trump, Orbán, Kaczyński. Sentiremo negare le catastrofi ambientali e parleranno di una inesistente ‘ideologia gender’». Per rispondere a tutto ciò dice che bisogna muoversi «nel solco di Draghi e Mattarella» e confidare nel «buon senso popolare», che Letta contrappone alla polarizzazione delle idee sui social. La vera polarizzazione per il Pd è questa: «O noi o Meloni».

IN SERATA, la risposta di Giuseppe Conte suggella la rottura. «La campagna elettorale è già stata scritta dal pensiero unico dominante – è il messaggio del leader M5S – Ci sarà un voto utile, o si vota Meloni o Letta, Calenda dirà sé stesso, Renzi dirà sé stesso, si metteranno di mezzo Di Maio o Brunetta. Ma ci sarà una sorpresa, un terzo incomodo, il M5S con la sua agenda progressista: sociale, ci batteremo per fissare priorità per tutelare piccole imprese, lavoratori autonomi».