PATADRAG. Per la destra nodo candidato premier. Il centrosinistra spazia da Fratoianni a Calenda
Enrico Letta e Carlo Calenda - LaPresse
Davvero pronto e preparato ad affrontare la precipitazione elettorale non era nessuno. Nodi da sciogliere di corsa ci sono per tutti ma quelli della destra sono pochi anche se ben intrecciati. Per Giorgia il quesito principale si chiama Giorgia: o c’è il via libera al suo ingresso a palazzo Chigi o ci salutiamo subito e ciao ciao. «Se non riuscissimo a metterci d’accordo su questo non avrebbe senso andare al governo insieme», affonda la Sorella preparando il terreno per il vertice decisivo di domani. Salvini però non ha alcuna intenzione di impantanarsi da subito: «Lasciamo a sinistra litigi e divisioni. Chi avrà un voto in più avrà l’onore e l’onere di indicare il premier». Del resto, questi sono problemi che si pongono, se del caso, il giorno dopo le elezioni e a seconda del quadro reale che si ha di fronte, non da prima per farsi danno da soli. Le cose saranno meno facili quando domani si tratterà di comporre l’altro e ben più urgente dissidio, quello sulla composizione della lista maggioritaria, se sulla base delle percentuali rilevate dai sondaggi come nel 2018 oppure «alla romana»: 33% per uno. Si vedrà domani pomeriggio.
PER IL PD la situazione è molto più difficile e confusa: come si fa a recuperare una strategia messa a punto per anni e distrutta nel giro di qualche ora? Provando a inventarsene un’altra a spron battuto: il vecchio Ulivo, o una sua riproposizione che solo le urne diranno se fuori tempo massimo o meno. Al centro, come la Quercia che fu, il listone Democratici e Progressisti. Trattasi del Pd, con le consonanti al contrario, però con l’Art. 1 di Speranza, i cattolici di Demos, forse i socialisti e i civici di Pizzarotti a insaporireil piatto forte. Intorno il Cocomero composto da Sinistra Italiana ed Europa Verde da un lato, Azione e + Europa di Calenda-Bonino dall’altro.
FACILE A disegnarsi, un po’ meno a costruirsi ma
il più sembra essere fatto. «Letta è una persona seria. Siamo disponibili a discutere», offre la mano Calenda. La radicale propone il Patto Repubblicano e invita Letta ad «aprire un dialogo che noi auspichiamo con forza». Sa benissimo che il dialogo è già spalancato, che Letta e Calenda si sono parlati e che le condizioni messe in campo dal vulcanico ex ministro sono accettabili. Calenda vuole che, in caso di vittoria, il premier resti Draghi. Il Nazareno rinvia la questione però chiarisce che «nessuno può avere dubbi su ciò che il Pd pensa del suo profilo e della sua caratura». Nessun ostacolo anche per il veto contro «sovranisti e populisti», posto che nella definizione non rientrano Fratoianni e Bonelli. Calenda il problema lo ha posto. Letta avrebbe replicato adducendo impegni già presi, collegio sicuro promesso, e per il resto chi se ne accorge se ci sono? Non che Calenda si sia del tutto convinto ma è a un passo.
NEPPURE Sinistra italiana, per la verità, è ancora certissima, a maggior ragione dopo la corsa verso Calenda dei fuoriusciti azzurri ai quali potrebbe presto aggiungersi Brunetta, che preferirebbe le liste del Pd ma difficilmente sarà accontentato. Si teme di trovarsi in una di quelle situazioni in cui come cadi cadi male. Con una parte dell’elettorato potenziale che potrebbe prendere il largo trovandosi alleati nomi da sempre detestati come i ministri ex forzisti e un’altra parte che potrebbe andarsene in nome del «voto utile» se quell’alleanza non venisse sottoscritta. Ma alla fine, proprio come Calenda, Fratoianni e Bonelli firmeranno l’accordo e entreranno in coalizione.
NON SARANNO le uniche articolazioni. Il sindaco Sala, forte del simbolo messo a disposizione, dovrebbe formare una sua lista che ospiterebbe Gigino ’a Cartella Di Maio. Il socialista Nencini, anche lui con un simbolo a disposizione, potrebbe svolgere lo stesso ruolo con Renzi, sempre che i mille ostacoli di diversa natura che si frappongono tra l’ex premier e il suo ex partito venissero superati. Restano ancora vacanti e fluttuanti nell’iperspazio parecchi frammenti centristi. Persino il governatore ligure e leader di Italia al Centro Toti «non dà per scontata la sua adesione al centrodestra». Il rischio è che scenda in campo, invece dell’Ulivo, la caotica e affastellata alla meno peggio Unione del 2006.