Sul filo del rasoio. Il cancelliere tedesco incontra il presidente ucraino Zelensky a Kiev. Gelo sul Nordstream, Berlino: ««Sappiamo bene cosa fare»
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev © Ap
«L’allargamento della Nato non è all’ordine del giorno». Il cancelliere Olaf Scholz in vista a Kiev spegne il «sogno» del presidente Volodymir Zelensky che coincide con il peggior incubo per Mosca. In altre parole l’unica parola d’ordine della Germania, anche ieri ripetuta come un mantra, rimane de-esclation, nonostante Berlino abbia assicurato di stare «al fianco dell’Ucraina» e anche di essere pronta a «ritorsioni ampie ed efficaci» contro la Russia.
L’EMBARGO AL NORDSTREAM? «Per noi il gasdotto è una grave minaccia, ma non so davvero quali sanzioni verranno usate in caso di escalation. Scholz su questo punto non mi ha risposto. Potete chiedere a lui» è l’invito di Zelensky ai giornalisti in conferenza stampa al termine del vertice bilaterale.
Ma il cancelliere non replica, o meglio, taglia corto piccatamente
alla frecciata scoccata dal suo omologo: «Sappiamo bene cosa fare. Nessuno dubiti della nostra determinazione».
Zelensky non insiste: è consapevole che la Germania è il maggior creditore dell’Ucraina e in più Scholz gli ha appena promesso «l’esborso accelerato» dei fondi Ue: 1,2 miliardi di euro di cui un quarto garantito proprio dalla Repubblica federale. È l’unica vera offerta dei tedeschi agli ucraini che invece vorrebbero le armi made in Germany, a partire dai visori notturni e dai 12.000 razzi anticarro chiesti ieri dall’ambasciatore ucraino a Berlino, Andrij Melnyk.
INSIEME ALLA «SOLIDARIETÀ» al governo di Kiev che però non implica la cobelligeranza della Germania impegnata, al contrario, a mantenersi in equilibrio nell’era dell’instabilità post-Merkel, in cui l’unico punto fermo è parso la rielezione di domenica scorsa del presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier. In parallelo non si placa la polemica interna alla Spd, alimentata ogni giorno dai media nazionali, sul ruolo dell’ex cancelliere Gerhard Schröder entrato nel Cda di Gazprom: metà del partito continua a dipingerlo come il lobbista di Putin in Europa, l’altra metà invece lo considera come la «naturale» controparte tedesca alla joint-venture energetica con la Russia.
IN COMPENSO AL BUNDESTAG sempre meno politici mettono (seriamente) in discussione il Nordstream, compresa l’opposizione al governo Semaforo: «Invece di seguire gli Usa come fanno i lemming Scholz chiarisca una volta per tutte che la pipeline è un progetto sovrano per assicurare l’approvvigionamento energetico ai cittadini tedeschi» riassume la deputata Sevim Dagdelen, responsabile esteri della Linke.
In buona sostanza a chiedere di tenere illuminati i riflettori sul gasdotto sopra al tavolo delle sanzioni contro Mosca sono solo Verdi e liberali, ovvero la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, e il ministro delle Finanze, Christian Lindner. Ma la loro posizione si limita alle parole e paradossalmente aiuta il governo Scholz a tenere i piedi in due staffe.
Realpolitik indigeribile per gli Stati Uniti che, in attesa dell’insediamento della presidente della University of Pennsylvania, Amy Gutmann, hanno affidato l’interim della sede diplomatica di Berlino all’attuale incaricata d’affari, Robin Quinville: esattamente l’esperta dell’allargamento della Nato a Est. «Per noi questa ipotesi rappresenta un sogno» ha ricordato ieri Zelensky a Scholz, prima che il cancelliere smontasse la sua pulsione niente affatto limitata alla sfera onirica: l’arruolamento nell’alleanza atlantica è sancito nero su bianco nella Costituzione ucraina. Insomma Kiev, a sentire Berlino, si deve accontentare di ciò che già offre la Germania.
«NESSUN ALTRO PAESE ha aiutato gli ucraini in modo così massiccio» rammenta Scholz in riferimento ai 2 miliardi di dollari versati all’Ucraina dal 2014 ma anche all’addestramento degli ufficiali dell’esercito di Kiev, alla cura dei feriti nelle cliniche in Germania e al mega-ospedale da campo appena regalato dalla Bundeswehr. Donazioni materiali destinate ad aggiungersi al mega-pacchetto di 150 milioni di euro a fondo perduto che ieri Scholz ha promesso a Zelensky, più altrettanti del prestito già acceso ma non pienamente utilizzato. Vuol dire soldi in cambio di distensione.