Hanno ragione da vendere Norma Rangeri e i compagni del manifesto nell’avere aperto questo confronto. E sono davvero contento che questo quotidiano che è il riferimento di tanti a sinistra, quasi una ‘casa’ senza esserlo o volerlo essere, si renda disponibile con generosità ad un confronto senza rete.
Ci sono due piani del discorso da seguire a mio modo di vedere.
Il primo è quello di carattere democratico di fronte alle insidie della destra e della sua capacità di trarre alimento dai macroscopici vuoti di rappresentanza lasciati dalla politica democratica e di sinistra: la vicenda dell’assalto alla Cgil dice tanto. E tanto dice anche della capacità di reazione democratica che si è avuta. E su questo non ci possono essere dubbi: la battaglia democratica richiede unità, profonda e larga. E il Pd non può non essere assunto come un riferimento.
Il secondo invece è quello della sinistra che
, per scelta stessa del Pd è cosa che lo coinvolge sempre meno, pur avendo ancora al suo interno realtà sociali, di cultura politica, di militanza che certo sono di sinistra ma che ormai sono largamente minoritarie e marginali. Del resto se guardo al recente voto napoletano, così come alle ultime regionali, dal centro di quel poter istituzionale che è la Ragione in Campania ormai si organizza direttamente la rappresentanza elettorale: 10 sulle 13 liste a sostegno di Manfredi e con più due terzi del 60% complessivo raccolto.
E qui il problema è enorme perché un processo di eradicazione di una sinistra politica è prossimo a compiersi. Guardando ai soli dati elettorali anzi dovremmo dire che in Italia non c’è più una sinistra politica.
E si comprende bene dunque quanto sia urgente la sollecitazione di Norma Rangeri.
Non c’è più un pensiero di sinistra nel nostro paese? Non ci sono esperienze di ricerca, sociali, di lotta, culturali, di volontariato, di autoproduzione al di fuori della logica di mercato che esprimano una critica anche radicale a questo capitalismo reale?
Caspita se ci sono. Eppure non ritrovano una politica né riescono a vedersi come politica.
E allora devo dire che il tema di una nuova soggettività politica probabilmente per fare passi avanti deve muovere dal lato opposto da cui fino ad ora è partito: non dal lato dei ceti politici, detto con tutto il rispetto e di cui io stesso ho fatto a lungo parte nella parabola post-Pci.
Se il punto di crisi è nel rapporto con la società, con le idee che vi si stratificano, è solo da lì, dalla società che può muovere un discorso nuovo. E’ da lì solo che può prendere le mosse una nuovo mettersi in forma, con la ricostruzione di una nuova riconoscibilità della politica e della sinistra.
Di fronte al tutta la politica si fa nelle istituzioni e sempre di più solo dal governo deve crescere un discorso politico che muova invece dalla società, che si ancori lì e, nelle idee e nelle pratiche, ridia fiato ad una critica al tempo delle disuguaglianze.
Poi, dopo, potrà farsi nuovamente istituzione, eletti, amministrazione, governo.
Paradosso? Forse. Ma quello che avverto è l’esigenza di una rottura, di porre su basi nuove ogni discorso, ritraendosi ai principi per dirla con Machiavelli, ai fondamenti di una alterità praticata nei confronti di questo capitalismo reale, insisto. E’ solo facendo così che anche quel tanto di buono che pure c’è nei percorsi di una sinistra politica frantumata e ‘cetizzata’ può riconoscersi e tornare utile davvero.
Quale sociale, volontariato, lotta, centro di ricerca, associazione, rivista, quotidiano, movimento può sentirsi coinvolto da una ricerca e da una pratica dai tratti innovativi?
E come può relazionarsi facendo delle specificità forza e ricchezza, magari usando la Rete e contestando la logica dell’algoritmo segreto che invade e condiziona le nostre vite? E come può costruirsi una Tavola delle idealità che rappresenti cemento di analisi e di lotta – a partire dai grandi temi della giustizia ambientale e della giustizia sociale – per un mondo di esperienze e di pulsioni capaci di vivere anche, esattamente come alle origini del movimento socialista e operaio, mutualismo concreto?
Su questo anche sarebbe interessante aprire un confronto.
E sono sicuro che muovendosi così si recupererebbe immediatamente anche una capacità più alta di condizionamento dei decisori: di quelli formali e di quelli sostanziali. E in tanti tornerebbe la voglia di andare a votare potendo trovare anche ragazze e ragazzi, nuove competenze, tante espressioni di un variegato mondo del lavoro da votare. E tutti gli altri, quelli con più esperienza, con più carico del tempo e dei ruoli, tutti utili e tutti al servizio.