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Il dibattito. La forza d’attrazione del Pd e il richiamo del voto utile, non salvano l’anima ai dirigenti delle varie sinistre, incapaci di esprimere un disegno di crescita unitaria

Tra i banchi del Senato

L’intervento su questo giornale di Nicola Fratoanni ( 26/10 ) e di Loris Caruso (28/10) per opposti motivi vincono il senso di frustrazione a tornare sulla condizione e il destino della sinistra italiana, a seguito della discussione generosamente avviata da Norma Rangeri (qui e qui).

Il segretario di Sinistra Italiana non vede davanti a sé, e alla sinistra tutta, nessun’altra prospettiva se non il campo del centro-sinistra.

Tanta ampiezza di visione francamente sconforta dopo il misero risultato del 2,5%, raccolto dalla lista “Sinistra civica ed ecologista” alle elezioni comunali di Roma.

Intendiamoci, la scelta di sostenere la candidatura di Gualtieri era obbligata, occorreva sbarrare la strada a una destra plebea e culturalmente fascista, dare alla città almeno una figura di sindaco progressista e autorevole. Ma queste sono scelte tattiche, che può fare un partito con una sua fisionomia autonoma, decidendo di allearsi con il Partito democratico quando la situazione lo rende utile, quale variabile all’interno di una strategia più generale.

Nella visione di Fratoianni SI appare una rassegnata appendice del Pd che persegue una originale forma di minoritarismo, non settario, ma subalterno. Come se il fine di quel partito non fosse la trasformazione della realtà attraverso l’organizzazione e la direzione del conflitto, ma l’affermazione elettorale, la presenza in Parlamento. E quindi come se bastasse esprimere una posizione politica di sinistra per avere quel risultato.

Così passano gli anni e non si assiste mai alla nascita di una idea, una iniziativa, almeno a un dibattito nazionale, con studiosi e cittadini, sui grandi temi italiani, dal lavoro al Mezzogiorno. Silenzio.

Caruso svolge una lucida analisi della collocazione e del senso di direzione del Pd nello scenario politico italiano di oggi. Io vorrei aggiungere qualche considerazione in prospettiva storica, e. non posso non ricordare che il Pd è, nelle sue fondamenta, un errore strategico. Non solo perché, “un amalgama mal riuscito”, ma soprattutto una camicia di forza imposta alle varie culture politiche nazionali, uniformandole in una politica centrista nella fase di scatenamento del capitalismo su scala mondiale.

Non a caso quella camicia si è subito strappata, mentre l’imposizione di un sistema elettorale maggioritario ha contribuito all’emarginazione delle forze politiche minori.

Il bipartitismo anglo-americano che si è voluto importare in Italia come un prodotto di Hollywood, da noi è arrivato quando nei paesi d’origine era già logoro. Chi si ricorda dei programmi elettorali più o meno identici dei Laburisti e dei Conservatori inglesi, dopo gli anni della Thatcher, rilevati nientemeno che dal Financial Times, entrambi sostenuti da un robusto impianto neoliberista? E non è stato così per decenni anche negli Usa con i Democratici che si erano resi indistinguibili dai Repubblicani? E da dove è uscito Trump se non dal vasto impoverimento della middle class, che il biparitismo non rappresentava più da almeno un ventennio? Tutto il populismo europeo non è solo figlio della globalizzazione e della crisi del 2008, delle politiche austere dell’Ue, ma del fatto che a milioni di cittadini, i quali vedevano peggiorare la loro vita di anno in anno, non è stato neppure offerta una interpretazione classista e politicamente avanzata di quel che stava loro accadendo.

Quali sono oggi i risultati che il Pd può vantare dopo la lunga presenza, a vario titolo, nei governi nazionali? Qualcuno è in grado di indicare un ambito della vita sociale dell’Italia la cui condizione è migliorata? Nell’assetto e nella qualità del lavoro? Nella condizione femminile? Nella scuola e nell’università? Nella sanità? Nel sistema fiscale? Nello stato delle nostre città? Negli assetti dell’ambiente e del territorio? Nella condizione giovanile e del Mezzogiorno? 15 anni di generale regresso.

Da quando è nato nel 2006 il Pd, con il suo moderatismo, ha obiettivamente costituito una forza di conservazione negli equilibri sociali del Paese. Ma è stato anche un fattore di immobilismo disordinato del sistema politico. E

E’ il suo peso uno degli ostacoli che impedisce la nascita di una formazione alla sua sinistra, a causa della forza di attrazione che ancora esercita grazie alla presenza al suo interno di dirigenti stimabili, per il ruolo che vi hanno ancora amministratori locali onesti e capaci, per la sua struttura organizzativa nei territori, per la forza inerziale di una tradizione sopravvissuta nella mente di tanti vecchi militanti ed elettori del Pci.

Questa evidente verità, tuttavia, non salva l’anima ai dirigenti delle varie sinistre, che nulla fanno per sfuggire alla forza calamitante di questa nuova Democrazia Cristiana. Quello che Rifondazione Comunista e Potere al Popolo dimenticano, quando rivendicano la loro presenza nei luoghi dei conflitti, o la coerenza classista delle proprie posizioni, è che questi sforzi contano poco se non si configurano in un più ampio disegno di crescita politica unitaria.

Le parole d’ordine più avanzate si perdono nell’aria, insieme alla pubblicità, se non si comunica l’idea di avere la forza per poterle perseguire. Non si deve dimenticare che le loro percentuali di consenso esprimono una valutazione di natura elettorale, non di merito. I cittadini tengono cioè conto del loro reale potere d’azione. Il voto della minoranza che oggi va alle urne è un “voto utile”.