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A Chianciano. Che fare, dopo che da tredici anni le forze politiche a sinistra del Pd, sia in alleanza che in opposizione al «partito di centro», non hanno mai superato il 4 per cento

Che fare, dopo che da tredici lunghi anni le forze politiche alla sinistra del Pd, sia in alleanza che in opposizione al «partito di centro che guarda a sinistra» (recentissimo copyright di Enrico Letta), tranne una volta (2014) non hanno mai superato il 4% nelle due consultazioni nazionali, cioè le politiche e le europee?

L’interrogativo agita anche il partito della Rifondazione comunista, che si ritrova a Chianciano Terme per il suo undicesimo congresso piuttosto ammaccato per l’esito dell’ultima tornata amministrativa. Dove ai pochi successi, come l’esempio unitario calabrese con Luigi De Magistris citato da Maurizio Acerbo quale percorso virtuoso, o la lista Sinistra per Savona che ha contribuito non poco alla vittoria del neo sindaco Marco Russo a capo di un centrosinistra larghissimo, si sono accompagnate numerose sconfitte, unite a una certa sofferenza per alcune supposte «rigidità» dei vertici. E non è certo di consolazione vedere che anche i cugini di Sinistra italiana e Articolo Uno, in genere alleati del Pd, sul piano della rappresentanza non riescono a trovare sintonia politica con l’elettorato. Restato a casa per il 45%. E per il 40% indeciso, secondo i più accreditati sondaggisti, su cosa votare alle future elezioni politiche del 2023.

La risposta che cerca di dare il congresso, che è unitario ma al tempo stesso sta chiamando in questa tre giorni di Chianciano a un ricambio generazionale – tema spesso delicato ma imprescindibile per un partito che oggi ha solo 10mila iscritti ma anche 50mila sostenitori con il 2×1000 – non riguarda il merito. Sul punto Rifondazione non solo ribadisce una motivata opposizione al «governo dei migliori» guidato da Mario Draghi. Sposa anche le analisi pubblicate sul manifesto il mese scorso da Tommaso Nencioni e da Paolo Favilli, solo per fare due esempi.

Quel che invece sembra latitare è la traduzione sul territorio di un metodo di lavoro innovativo, anche tecnologicamente. E in grado di portare, passo dopo passo, al progressivo coinvolgimento di quella parte di società che si sente di sinistra, ma che dalla sinistra è stata spesso e volentieri delusa, fin dai tempi dell’Unione prodiana. A tal punto da abbandonare la contesa elettorale. O riversarsi, come successo negli ultimi dieci anni, su una forza populista come il M5S.

Sull’argomento il giovane Simone Di Cesare, under 30 che non è delegato ma è venuto ad ascoltare e «sentire» gli umori del congresso, la vede così: «Secondo me è arrivato il momento di ‘rompere’ alcune ritualità che abbiamo. Ad esempio, quando si parla di riunire la sinistra si rischia di parlare di come riunire il pochissimo che è rimasto, quasi il niente».

Niente scorciatoie organizzativo-elettorali dunque, che fin dai tempi della Sinistra Arcobaleno hanno mostrato le loro debolezze. «Piuttosto – osserva la delegata milanese Silvia Conca, poco più che trentenne – sarebbe necessario un lavoro comune, fuori dalle dinamiche elettorali, per cercare insieme di ricostruire una coscienza di classe, in una società che subisce da molti anni la vittoria del capitale sul lavoro e che sembra essersi rassegnata a un eterno presente, senza la possibilità di un’alternativa di società. Poi tutte le forze di sinistra sono in difficoltà anche perché continuano a scontare le ruggini del passato. E, in questo senso, un ricambio generazionale potrebbe essere utile». «Perché – aggiunge il delegato fiorentino Andrea Malpezzi – se andiamo male non può essere sempre colpa degli altri».

Però potrebbe essere utile, annota il cronista, anche un pur minimo interesse dei media, che invece disertano il congresso nazionale di Rifondazione comunista, a trent’anni dalla nascita del partito, non considerandolo evidentemente come un avvenimento politico di un qualche interesse.

Non una notizia, non un inviato, non una telecamera, con la lodevole eccezione del manifesto. Allora torna alla mente il congresso di Sinistra italiana a Rimini, quando gli inviati e le tv c’erano. Ma non ripresero né scrissero molto. Forse perché in quell’assise le delegate e i delegati sancirono una rottura politica, rientrata qualche mese dopo in segreteria, con il centrosinistra dell’epoca.