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In una parola. Mi piacerebbe sapere, a questo proposito, che cosa pensano i cattolici Enrico Letta, vincitore della tornata elettorale, e Mario Draghi, immagino non dispiaciuto di questi risultati, del messaggio che il Papa ha inviato proprio sabato scorso al quarto incontro mondiale dei Movimenti popolari

 

Tra gli idranti e i candelotti lacrimogeni contro i no-green pass a Trieste, la piazza San Giovanni piena con Landini e gli altri sindacati, e le brillanti vittorie dei candidati di centro sinistra a Roma e a Torino, sia pure con il vistoso calo dei votanti, non si sa bene che cosa pensare del momento che vive il paese.

Forse la domanda è questa: se l’affermazione del centrosinistra in grandi città italiane e europee come Roma, Milano, Napoli e Torino (senza dimenticare casi significativi come Varese o Latina) può aiutare un risveglio di capacità progettuale, questo potrà avvenire solo se i vincitori (e il plurale maschile parla in effetti di soli uomini) sapranno ascoltare il silenzio delle periferie urbane e sociali astenute dal voto, e anche il disagio profondo che non sa più esprimersi nella crisi dell’ipotesi a 5 stelle, o lo fa con molte contraddizioni nei movimenti no vax e no green pass.

Mi piacerebbe sapere, a questo proposito, che cosa pensano i cattolici Enrico Letta, vincitore della tornata elettorale, e Mario Draghi, immagino non dispiaciuto di questi risultati, del messaggio che il Papa ha inviato proprio sabato scorso al quarto incontro mondiale dei Movimenti popolari. Un discorso che la maggioranza dei media, presi dalle vicende da cui sono partito, ha ignorato. Ho visto la notizia sull’Ansa e sono andato a leggermi il testo integrale.

Parole che mi hanno colpito fin dall’inizio, con quel rivolgersi ai movimenti con l’appellativo di «poeti sociali». «Così mi piace chiamarvi – ha detto – perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza». E di creatività e di speranza ha bisogno il mondo di cui parla Francesco: il mondo periferico, appunto, fatto di migranti, poveri, lavoratori precari, la cui condizione si è ulteriormente aggravata in due anni di pandemia. Un mondo sempre escluso da un approfondito discorso dei media. Per riscattare il quale il pontefice ha indirizzato a chi ha potere una serie di richieste stringenti, tutte invocate «in nome di Dio», con enfasi drammatica.

Le riassumo in breve: la liberalizzazione dei brevetti e la diffusione a tutto il mondo dei vaccini; la remissioni del debito ai paesi poveri; la fine della distruzione delle foreste e della diffusione dell’inquinamento; la fine della speculazione che alza il prezzo dei generi alimentari; la cessazione «totale» dell’attività dei trafficanti di armi; l’uso di internet per una reale diffusione della cultura; la ricerca della verità da parte dei media, inquinati da una «attrazione malata per lo scandalo e il torbido»; la fine delle aggressioni, dei blocchi e delle sanzioni unilaterali da parte dei «paesi potenti».

Una requisitoria contro un sistema che «con la sua logica implacabile del guadagno, sta sfuggendo a ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo».

Francesco rivendica infine la capacità di «sognare insieme» secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa, e anche di «agire». E le prime azioni che propone sono «un reddito minino (l’Rmu) o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita». E la riduzione della giornata lavorativa: «Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro».

Non sarebbe un buon programma?