Il convegno di Italianieuropei. Tre ore di confronto sul «cantiere». Bettini apre a una «rifondazione», ok di Speranza, gelo di Zingaretti
Quattro anni esatti dopo la debacle di Renzi al referendum costituzionale, che fu il massimo punto dello scontro con gli ex Ds, Massimo D’Alema archivia la guerra con l’ex rottamatore. E lo invita al «cantiere della sinistra», evento via Zoom per la presentazione dell’ultimo numero di Italianieuropei dedicato proprio alla ricostruzione del campo progressista dopo due scissioni di fila (2017 Bersani e D’Alema; 2019 Renzi).
Le posizioni da allora non sono molto cambiate, ma la nascita del governo giallorosso e lo stato di salute non buono delle forze di centrosinistra richiedono, dice D’Alema, di voltare pagina. «Ci siamo, c’è vita a sinistra», esordisce nelle sue conclusioni, per poi spiegare che serve una «ristrutturazione di un suolo pieno di edifici cadenti e desueti», perché «l’esperienza del Pd non ha avuto successo, ma sono falliti anche tutti i tentativi di costruire delle realtà significative fuori dal Pd».
DA QUESTA «SOMMA di insuccessi», D’Alema propone di ripartire e al suo appello rispondono tutti i protagonisti: da un padre nobile come Giuliano Amato a Nicola Zingaretti, Roberto Speranza, Dario Franceschini, Goffredo Bettini, Elly Schlein e due intellettuali come Ida Dominijanni e Nadia Urbinati.
Tre ore di discussione per capire che fare dopo la pandemia, in una devastante crisi economica che aumenta le diseguaglianze ma che può essere mitigata dal Recovery Fund (visto come «opportunità» soprattutto da Renzi), in un clima che «ha evidenziato il fallimento del neoliberismo» e rimesso al centro alcuni pilastri della sinistra come i beni pubblici e il welfare. Ma con la palese assenza di un’idea del mondo, di una narrazione, di una «ideologia» che consenta alla sinistra di competere con i sovranisti sul piano dell’identità, del bisogno di protezione dei ceti più deboli e ormai anche di larga parte dei ceti medi.
Una ideologia che permetta ai progressisti di vivere «oltre le singole esperienze di governo», dice Urbinati, «di portare lo sguardo più in là verso una proposta di società in grado di riformare il capitalismo», le fa eco Bettini. Perché «senza un senso di appartenenza, senza la capacità di comporre le tante identità di una società liquida», ricorda Amato, «le politiche non penetrano nella società».
SULLO SFONDO I VENTI DI CRISI nel governo e soprattutto il rapporto con il M5S, che Franceschini definisce «alleanza inesorabile se si vuole governare», sostenuto da Speranza «con loro una relazione non episodica».
Ma il punto vero della discussione è la forma, l’abito per quella che Bettini chiama «rifondazione di una forza più ampia». «Per la prima volta da anni siamo a favore di vento», dice Speranza, «ma le forze che ci sono oggi non bastano, dobbiamo metterci tutti in discussione in un processo più largo e aperto».
D’Alema è il più chiaro nel dire che «serve una nuova forza politica con un progetto di riforma del capitalismo che renda possibile il contenimento delle diseguaglianze e la tutela dell’ambiente». «Bisogna dare una forza politica a quel 30% di italiani che avrebbero bisogno di un grande partito di sinistra». E ammette: «In passato per puntare al 50% abbiamo pensato che fosse necessario appannare la nostra identità, e così ci siamo persi anche il 30%…». Un partito non leggero, dice l’ex premier, «non somma di comitati elettorali», perché «solo i partiti hanno saputo connettere elite e popolo».
CON RENZI SCAMBIO GARBATO sul centro, con il primo a esultare per la vittoria del moderato Biden e D’Alema a ricordare che «quel centro lo inseguimmo anche noi, ma oggi la crisi ha radicalizzato la società». E tuttavia, per il leader Massimo, nel nuovo centrosinistra che deve essere «un campo largo» c’è posto per «culture diverse, per posizioni anche distanti». L’importante, sottolinea Bettini, è partire.
Non a caso Zingaretti di tutto questo non parla, e resta concentrato sulla sfida di dare un’anima al Recovery Plan, visto come antidoto espansivo alle sirene populiste, e soprattutto sul concetto che «non dobbiamo tornare alla normalità di prima del Covid che era inaccettabile» in un’Italia «ferma e piena di diseguaglianze e burocrazia». Di qui l’invito a Conte «a non tirare a campare» ma «ad essere efficaci». «La scintilla deve essere la necessità di costruire un nuovo e diverso equilibrio», dice il leader Pd e avverte: «No a ingegnerie organizzative».
ANCHE SCHLEIN VEDE tutte le difficoltà della ricostruzione, in particolare dove c’era la sinistra radicale e gli ecologisti e oggi «ci sono più sigle che elettori». «Dobbiamo cambiare schema», spiega, «ma questo non significa confluire nel Pd che non si è messo in discussione».
Dopo tre ore le domande restano molto più numerose e grandi delle risposte. Tocca a Dominijanni ricordare ai combattivi protagonisti della mattina che, in ogni caso, «non può essere la nostra generazione a fare questa ricostruzione».