Didattica a distanza. Intervista alla docente di storia e filosofia Gloria Ghetti del movimento "Priorità alla scuola" che ha protestato tenendo una lezione davanti al suo liceo a Faenza collegata online con i suoi studenti: «Non è stato fatto nulla su medicina scolastica, trasporti e stabilizzazioni dei colleghi precari. Con la Dad gli studenti si spengono e aumenta la dispersione scolastica»
Professoressa Gloria Ghetti, lei insegna storia e filosofia al liceo Torricelli Ballardini di Faenza. Perché ha tenuto ieri una lezione davanti all’ingresso della sua scuola mentre i suoi studenti la seguivano online?
Come movimento «Priorità alla scuola» ieri abbiamo organizzato due presidi didattici a Faenza e a Firenze. Chiediamo la riapertura delle classi in sicurezza. Non c’è una ragione oggettiva per chiudere le scuole, non sono luoghi di contagio ma semmai di monitoraggio contro la diffusione del Covid. Nelle scuole abbiamo rispettato tutte le regole e poi le chiudete?
Su cosa ha tenuto la lezione?
In questo momento ci stiamo occupando del trattato di Versailles alla fine della prima guerra mondiale. Abbiamo commentato il racconto di Stefan Zweig “Wilson fallisce” dedicato al presidente degli Stati Uniti. È il momento in cui, per stanchezza, Wilson cede, non dice di “No” e mette le basi della seconda guerra mondiale. Chi non sa dire di “No” fa concessioni e non può più fermarsi. Invece la storia è anche il luogo del possibile come ha detto Robert Musil. Mi sembra una riflessione molto attuale sulla nostra storia: c’è sempre un modo per cambiare la storia. Basta iniziare a dire “No”.
In questo caso il vostro “No” è alla didattica a distanza (Dad) nelle scuole. A parte una parentesi estiva e quella tra settembre e ottobre, per di più in maniera frammentata, insegnate in questa modalità da marzo. Quali sono stati gli effetti che ha visto sugli studenti?
La scuola è uno spazio e un tempo della vita in cui ci si forma e ci si trasforma. Questo vale sia per gli studenti che per i docenti. È un’esperienza che permette di emanciparsi dalla famiglia e trovare l’altro. Applicando invece la Dad per mesi significa mantiene gli studenti in una condizione di minorità perenne. C’è chi risponde presente e poi si rimette a letto. C’è chi esce di casa. Durante il lockdown la dispersione è aumentata. E ci sono problemi psicologici, educativi e di conoscenza che non si indennizzano con un bonus né con un ristoro. Forse una pizzeria può riaprire, ma davanti a uno schermo i ragazzi si spengono.
Come sta vivendo lei la didattica a distanza?
Come nel racconto di Asimov “Chissà come si divertivano”. Nel 2157 due ragazzi trovano un libro appartenuto ai bisnonni dove si parla della scuola. Si racconta un modo dove c’erano ancora le scuole negli edifici, c’erano i professori che insegnavano in persona. Per questi ragazzi, invece, la scuola aveva tutto un altro significato: i docenti erano macchine adattate a ognuno di loro. Ecco sento questo quando faccio la Dad: come una macchina. Ma questa non è scuola. Di quale interdipendenza saranno capaci i ragazzi educati alla solitudine e senza relazione davanti a uno schermo? Gramsci diceva che la cultura non è possedere un magazzino ben fornito di nozioni ma è la coscienza che si ha del proprio posto nel mondo. Oggi c’è un motivo in più per fare questa scuola. Siamo in un momento decisivo in cui la scuola è il primo luogo dove realizzare la lotta contro le diseguaglianze e l’emarginazione.
Ritiene che il governo abbia fatto il necessario per evitare di tornare a questo punto?
Drammaticamente il governo non ha fatto nulla di quanto ha annunciato. Niente ha fatto per la stabilizzazione dei colleghi precari. C’è stata l’assurdità di un concorso che hanno dovuto interrompere. Se non lo avessero fatto avrebbe prodotto una valanga di ricorsi. Il problema è bloccare la mobilità delle persone per evitare i contagi e tu mandi in giro gli insegnanti? Gli uffici scolastici regionali hanno rifatto le classi con 30 ragazzi come si faceva prima del Covid. Siamo tornati a scuola perché sono stati i presidi, gli insegnanti e il personale ad avere sostenuto il peso di questa emergenza. E poi ci hanno richiuso.
Alcuni esperti ed assessori regionali ritengono che le scuole aumenti i contagi…
Nella mia scuola i positivi si sono contati sulle dita di una mano su più di 1300 persone. La catena del contagio è stata individuata e bloccata subito. In quale altro luogo in Italia si misura la febbre, si fa screening su migliaia di persone come a scuola? La scuola, in questa emergenza, è un luogo di prevenzione, non un pericolo.
Ma cosa non ha funzionato?
I trasporti, la tempestività dei tamponi, la medicina scolastica e il suo collegamento con quella territoriale. Tutto ciò che sta attorno alla scuola, Per questo è inaccettabile chiuderle. È necessario il raddoppiamento dei trasporti. Se non c’è personale, allora si prendano i bus privati. Le risorse ci sono. Lo studente può scendere vicino alla scuola e raggiungerla a piedi. Poi è necessario non ospedalizzare la società. Per questo chiediamo le infermerie e i medici scolastici. La scuola è il luogo migliore per monitorare migliaia di studenti insegnanti genitori e personale. Se il governo dice di stare lavorando per riaprire le scuole allora dovrebbe intervenire molto diversamente. Se c’è un focolaio chiudiamo per il tempo necessario e nella zona indicata, ma non è possibile chiudere tutte le scuole insieme. Rispetto ad altri questo problema non è difficile da risolvere. Queste sono cose programmabili e organizzabili. Purtroppo non è stato fatto niente di tutto questo.
E se alla scadenza del Dpcm, il 4 dicembre, non si tornerà davvero a scuola, cosa farete?
È da maggio che facciamo manifestazioni. Anche se siamo una minoranza stiamo iniziando a capire che il cambiamento non può avvenire maniera tradizionale. Forse può passare dalla disobbedienza civile purché pacifica. È un’idea che possiamo praticare, mantenendo la cautela nei comportamenti. Questo virus ci insegna che nessuno si salva da solo. La soluzione non è la Dad che ci chiude in uno spaventoso isolamento.