Tra le priorità degli “Stati generali” promossi dal presidente del consiglio c’è “Un paese completamente digitale”. Ed è giusto che sia. Finalmente. Come si è visto nei giorni della pandemia, più di un terzo (ma sicuramente è una percentuale in difetto) delle studentesse e degli studenti non era in grado di partecipare all’e-learning.
Talvolta per la mancanza in casa di un computer, spesso per debolezza o assenza della connessione. Insomma, il re è nudo. Al di là della quantità mostruosa di convegni e dibattiti, nonché dei vari digital champions, la cruda realtà dei dati è tremenda: la copertura del territorio con la banda larga è sì e no del sessanta per cento, mentre con quella ultralarga (vale a dire la base per l’età crossmediale) si aggira attorno al trenta. Per capirci, siamo in fondo nella classifica europea quanto a infrastrutture, per indossare la maglia nera per alfabetizzazione.
La prova provata è emersa ancora una volta nel tempo del virus. La pubblica amministrazione è immersa nel mondo analogico e vive l’innovazione tecnologica come un surplus aggiuntivo rispetto all’egemonia cartacea. Settori che non si parlano, protocolli complessi, siti e portali affidati alla cura di società private diverse.
Modesto ricorso al free software (assai meno costoso, tra l’altro) e massivo utilizzo degli algoritmi degli Over The Top, da Apple e Google in poi. Il black out del sito dell’Inps è un ammonimento. Per di più, le zone di migliore connessione sono addensate nelle aree metropolitane e pure questo concorre allo spopolamento delle campagne e dei piccoli borghi. Una frattura sociale prepotente.
Esattamente il contrario di ciò che si auguravano i profeti della rete, convinti che si stesse inverando il villaggio globale immaginato dal visionario per eccellenza, McLuhan, agli albori della “rivoluzione”. Banda larga per tutti, fu questa la parola d’ordine democratica, contrastata dall’ubriacatura liberista capace di influire persino sul linguaggio.
Le molte parti del territorio non coperte dalla banda larga e ultralarga sono, infatti, denominate “a fallimento di mercato”. Si torna a parlare di rete unica, superando il frastagliamento attuale, nonché la competizione tra Tim e Open Fiber, quest’ultima lanciata nel periodo del governo Renzi per fare probabilmente di Enel il riferimento principale, scalzando definitivamente una Telecom già indebolita e spolpata dalla peggiore tra le privatizzazioni italiane. Curiosamente (ma non troppo) in entrambi i gruppi è decisivo il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti.
È una situazione insensata e foriera di effetti collaterali numerosi sul digital divide. Sembra che si voglia, invece, riprendere il filo del discorso avviato vent’anni fa e poi spezzato dall’approccio dominante. Evviva. Se gli Stati generali rimettono la questione sulla giusta carreggiata, “ripubblicizzando” la rete, c’è da festeggiare. Benché, da ultimo, il piano curato da Vittorio Colao non prometta niente di buono. Però, la necessità rende virtuosi. E si sarà pure -speriamo- valutato che il virus ha creato punti di non ritorno. Tra questi, l’uso di Internet non fa eccezione. Una rete unica e pubblica, aperta a servizi plurali e non discriminatori, è essenziale per un futuro non segnato da nuove e peggiori diseguaglianze.
Che una quota delle agognate risorse europee serva a colmare il divario tecnologico, sempre legato a quello economico e culturale. Ovviamente, lo sviluppo della rete va coniugato ad un’intensa e capillare opera di formazione, in cui la Rai potrebbe giocare un ruolo essenziale, come fece all’epoca con il celebrato maestro Manzi.
Un’obiezione seria rispetto alle proposte che paiono emergere. Si collega meccanicamente la banda larga e ultralarga al “5G”. Sarà. Tuttavia, la quantità di antenne indispensabili con la nuova generazione “hertziana” è tale da aumentare sensibilmente l’inquinamento elettromagnetico.
Non a caso si richiede l’abbattimento dei limiti in vigore, che neppure gli esecutivi berlusconiani riuscirono a stravolgere. Non è lecito rimuovere il problema, perché gli utenti sono anche esseri viventi e nessuna innovazione è accettabile se comporta morti e feriti lungo la strada. La banda larga si può e si deve fare, ma con rigorosa attenzione alla tutela della salute.