Michele De Palma, segretario nazionale della Fiom con delega sull’automotive, Fca ha chiesto un prestito da 6,3 miliardi allo stato italiano. In serata l’azienda vi ha informato. Soddisfatti?
Solo una breve conference call con poche informazioni. Invece tutto dovrebbe essere trasparente, anche la risposta del governo. Il decreto Liquidità è di oltre un mese fa (è uscito in Gazzetta Ufficiale l’8 aprile, ndr), la richiesta sia stata fatta da tempo. Noi chiediamo al governo di stabilire delle condizionalità stringenti per Fca: un piano industriale e occupazionale di lungo periodo. Sappiamo che il finanziamento prevede condizioni per un solo anno ma noi sappiamo che a novembre ci sarà la fusione con Psa – confermataci dall’azienda – e il rischio, con i problemi di mercato già esistenti acuiti dal Covid che ha già compromesso l’intero 2020, è che a pagare siano i lavoratori italiani, già provati da anni di cassa integrazione.
La notizia ha fatto però molto scalpore, anche i giornali di destra si sono scatenati nelle critiche a Fca.
La canea dei giornali di destra è indecente: se ne accorgono adesso che Fca è diventata non paga le tasse in Italia? Quando noi denunciammo che Fca se ne andava in Olanda passammo per reprobi. Ci vorrebbe un po’ di memoria di coerenza.
Ieri il vicesegretario del Pd Andrea Orlando chiede che in cambio del prestito Fca riporti la sede in Italia. E’ anche la vostra posizione?
Dove sia la sede fiscale è un tema del governo. A noi interessa condizionare il prestito al futuro degli stabilimenti italiani. Il governo ci convochi e chieda all’azienda un piano di lungo respiro. Certo, in questa situazione anche in vista della fusione con Psa che è in parte statale sarebbe giusto porre il tema del cambiamento della governance sul modello tedesco: capitale privato, capitale pubblico e sindacato come attore delle scelte strategiche.
Lei crede davvero possibile che Fca diventi un modello di co-gestione con intervento pubblico nel capitale?
Io dico che in Italia ragioniamo sempre per pezzettini e emergenze – Decreto Liquidità, decreto Crescita, ammortizzatori sociali – e mai in modo sistemico e guardando al futuro. Noi ci siamo stancati di essere convocati solo per gestire crisi aziendali e ammortizzatori: vogliamo discutere di innovazione, di nuovi prodotti, di micromobilità nelle città, di tecnologie sostenibili. Il mercato della mobilità va in questa direzione in tutto il mondo: non basta la 500 elettrica a Mirafiori (unico stabilimento con la Sevel di Atessa in cui si sta lavorando), serve l’ibrido, serve ragionare di nuovi prodotti. Questo finanziamento può essere l’occasione perché il governo faccia pressione su Fca per farlo.
Nel frattempo però a dieci anni dalla rottura di Pomigliano voi con Fca avete firmato accordi e ora l’azienda vi ha riconosciuto ore per le assemblee sindacali anche se non siete firmatari del contratto. Siete cambiati più voi o è cambiata più Fca con l’addio di Marchionne?
Non sono cambiati loro e non siamo cambiati noi. E’ cambiata la situazione in cui siamo entrambi. Nell’emergenza Covid siamo stati i primi a chiedere di fermare la produzione e poi come metalmeccanici siamo stati i primi firmare un accordo con una multinazionale stabilendo le condizioni di sicurezza per riaprire. Sono stati questi accordi che hanno portato al reciproco riconoscimento. Le linee guida sulla riapertura prevedono che la gestione della sicurezza sia demandata ai delegati di fabbrica: l’azienda coerentemente ci ha riconosciuto le ore di assemblea per poterlo fare. L’accordo scade a luglio, contiamo di rinnovarlo.
Per il rientro totale in Fca manca solo la firma del contratto aziendale…
Il primo contratto che la Fiom vuole firmare è quello nazionale con Federmeccanica.
Pensa che con Grolier, il responsabile Emea che ha firmato gli accordi con voi, Fca possa tornare in Federmeccanica?
La domanda va posta all’azienda. Di certo le dichiarazioni del nuovo presidente di Confindustria Bonomi contro l’importanza dei contratti nazionali non favoriscono Federmeccanica. Soprattutto in un momento di emergenza i contratti nazionali sono fondamentali per uscire dalla crisi.