Intervista a Maurizio Landini. Il segretario generale Cgil: «Il senso di responsabilità dei lavoratori ha tenuto in piedi il paese. Serve un reddito dignitoso per tutti e partecipazione alle scelte per un nuovo modello di sviluppo»
Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, negli ultimi tre mesi l’intero mondo è cambiato completamente, sconvolgendo per primo il mondo del lavoro. Quali elementi la colpiscono di più?
In generale le lavoratrici e i lavoratori con i loro comportamenti, la loro volontà, serietà abnegazione la loro solidarietà. E’ il lavoro che sconfiggerà il virus, ancora una volta il mondo del lavoro sta dimostrando una forza ed un senso di responsabilità generale che commuove ed inorgoglisce, perché sa prendersi cura dei problemi e dei bisogni delle persone. Allo stesso tempo emergono almeno tre cose su cui riflettere ed agire. E’ emerso in maniera palese come l’attuale modello di sviluppo non è più rispondente ai bisogni e alle necessità della grande maggioranza delle persone. Il virus ha svelato crudelmente in maniera molto più efficace di tante nostre critiche che uno sviluppo basato sulla finanza e sulla crescente diseguaglianza non è sostenibile né per l’uomo né per la natura. In secondo luogo mi ha colpito la fragilità del nostro sistema sociale e in particolare quello dell’assistenza delle persone. A iniziare dal sistema di sanità pubblico del nostro Paese, falcidiato da anni di tagli indiscriminati, e ora è chiaro a tutti che deve essere rafforzato ed esteso. E come tutto questo dimostri che il concetto di produttivo non si possa misurare solo con i bilanci e tanto meno con la logica del profitto: un sistema sanitario è produttivo quando garantisce la salute di tutti, non quando fa utili. E questa considerazione andrebbe estesa a tanti altri settori che servono a tutelare i diritti delle persone. In terzo luogo la conferma della centralità del lavoro e delle persone che lavorano. In Italia, a proposito di emergenza sanitaria, abbiamo retto e stiamo reggendo soprattutto grazie al sacrificio e alla professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Tutti: dai medici agli infermieri, dagli addetti alle pulizie a chi fa la manutenzione degli impianti. E spesso sono persone pagate poco e male o persino precarie, e stanno agli ultimi posti della piramide salariale e dei diritti. E’ una considerazione che va allargata a tante altre e a tanti altri: tutti dovrebbero aver capito che i cosiddetti “essenziali” su cui la società si basa per andare avanti sono spessissimo le persone più maltrattate e meno considerate. Una lezione da cui si dovrebbero trarre delle precise azioni, se ha un senso dire che “nulla potrà essere come prima”.
La crisi economica picchia già duro e lo farà a lungo. Come tutelare chi perde il lavoro e le nuove forme di povertà? Serve ripensare il sistema di ammortizzatori sociali creandone uno universale?
Assolutamente sì. Penso sia il momento di ripensare in modo profondo i meccanismi economici. Dal welfare al fisco, dalla sanità all’assistenza, dalla politica industriale alla tutela ambientale, dagli stili di vita allo spazio in cui abitiamo. E poi il lavoro. Nel confronto con il governo di queste settimane abbiamo ottenuto precise garanzie sugli ammortizzatori sociali, anche se per i lavoratori autonomi le misure non sono del tutto soddisfacenti. E’ chiaro che in prospettiva l’intero sistema degli ammortizzatori va rivisto sia per garantire un reddito dignitoso quando l’azienda si riorganizza, sia quando si perde il lavoro, sia quando lo si ricerca. E’ in ogni caso il tempo di un nuovo Statuto dei Diritti in capo alle persone che lavorano e non semplicemente legato al tipo di rapporto attivato. Il lavoro non può più essere considerato alla stregua di mero fattore della produzione, di un numero, di un costo sempre e comunque comprimibile. Va riconfigurato il diritti del lavoro, il diritto alla formazione permanente e il welfare per tutelare e promuovere le nuove condizioni che hanno prepotentemente posto globalizzazione e innovazione tecnologica. Credo che questa sia la strada per affrontare la deriva del lavoro povero e della povertà in generale.
Nell’abisso della pandemia due professioni diametralmente opposte hanno retto la società: da una parte il personale sanitario – medici, infermieri, addetti alle pulizie – dall’altra gli operatori della logistica, i rider e i driver che hanno permesso gli approvvigionamenti essenziali e la consegna a casa a chi non poteva uscire. Cosa si sente di dire a queste due categorie?
È vero, in queste settimane hanno fatto cose straordinarie con una dedizione, una passione, un attaccamento al loro lavoro senza paragoni. Spesso l’hanno fatto nonostante le difficoltà che molti ponevano, superando ostacoli, supplendo alle carenze dei decisori. Hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale. E con loro gli addetti della grande distribuzione, le forze di polizia, i lavoratori pubblici gli addetti al settore dei trasporti, a quelli dell’agroalimentare, e i tantissimi che in queste settimane hanno dato alla vita di tutti una parvenza di normalità. Credo che tutti noi dobbiamo ringraziare queste lavoratrici e questi lavoratori. Ma il modo più produttivo per farlo è riconoscere loro trattamenti più coerenti con la loro indispensabilità. Quello a cui dobbiamo puntare è l’eliminazione delle diseguaglianze a partire da quelle di chi sta facendo lo stesso lavoro o partecipando alla stessa filiera produttiva ma con trattamenti profondamente diversi a prescindere dalla professionalità. Bisogna riconsiderare tutto coinvolgendo l’intelligenza delle persone per decidere come si lavora e per fare che cosa. E’ l’unico modo per evitare i conflitti orizzontali e la concorrenza fra lavoratori, su cui, invece, si è basata finora l’organizzazione del lavoro e del sistema produttivo. E bisogna investire sul sistema pubblico a partire dalla sanità e dalla scuola.
Bisogna riconsiderare tutto coinvolgendo l’intelligenza delle persone per decidere come si lavora e per fare che cosa. E’ l’unico modo per evitare i conflitti orizzontali e la concorrenza fra lavoratori
C’è il rischio di una nuova frattura fra queste figure – le cosiddette front office, costrette a lavorare e a rischio – e chi può permettersi il telelavoro da casa senza rischi?
Se tutto rimarrà come prima il rischio può esserci. Io però non la vedo esattamente così. Anche chi a casa senza lavoro e senza reddito, con la paura di non averlo più, o chi lavora isolato con il pericolo di nuove privazioni e violazioni nei loro diritti, sta vivendo una condizione difficile. Credo che i lavoratori capiscano le condizioni degli uni e degli altri e che tra loro i vincoli di solidarietà siano molto più forti delle spinte di coloro che li vorrebbero divisi e soli. In ogni caso penso che questi temi devono essere affrontati e regolati nel rinnovo dei Contratti nazionali di lavoro.
Il sindacato ha dovuto mediare fra la fretta di Confindustria – con il nuovo presidente Bonomi – di riaprire a tutti i costi e la legittima volontà dei lavoratori di tornare a guadagnare pienamente rispetto alla cassa integrazione. Ci siete riusciti?
Il nostro primo e più importante obiettivo è stato quello di tutelare la salute di tutti i lavoratori che poi vuol dire tutelare tutti i cittadini. Questa la nostra priorità. È sbagliato contrapporre salute e lavoro, bisogna lavorare sicuri, punto. Il confronto con il sistema delle imprese è stato complesso ma costruttivo. Alla fine abbiamo concordato tra tutte le parti con il contributo e la firma anche del governo su un Protocollo condiviso di regole che sarà la bussola anche per il futuro all’insegna della priorità della salute e della sicurezza su qualunque altra logica. E’ un impianto condiviso da tutti che ha assunto dopo il Dpcm del presidente del consiglio un valore giuridico ed ora va fatto applicare. Noi insieme a Cisl e Uil sui luoghi di lavoro e sul territorio questo siamo impegnati a fare. La nostra seconda preoccupazione è stata quella di evitare i licenziamenti e continuare a dare a tutti un reddito. Abbiamo chiesto e ottenuto l’allargamento della Cig a tutti i settori e un’azione di sostegno ai lavoratori autonomi e alle partite Iva, oltre che alle fasce più deboli e più povere della popolazione. In terzo luogo abbiamo rivendicato con forza la necessità di sostenere le imprese dando liquidità alle aziende, così che potessero continuare a pagare i dipendenti e i fornitori e favorendo l’apertura di una linea di credito per le imprese a tassi bassissimi, se non a fondo perduto. Infine stiamo pretendendo di aprire una discussione ampia e approfondita sul futuro.
ll coronavirus si porta con sé inevitabilmente un nuovo modello di società e di produzione. Paradossalmente è quello che lei chiede da una decina d’anni.
Dovrebbe essere così, anche se non darei nulla per scontato. Si è detto che il virus inciderà profondamente nelle relazioni geo-politiche e geo-economiche, nell’economia, nella politica, negli aspetti più banali della società. Probabilmente inciderà anche sulle singole persone, sulla loro fiducia, sulla loro empatia, sui nostri comportamenti. Trovo un po’ assurdo, oltre che molto doloroso, che ciò emerga in maniera chiara per tutti in seguito ad una pandemia, avendo dovuto pagare un costo sociale e umano altissimo. A questo punto però dobbiamo essere conseguenti, anche perché riprodurre gli stessi schemi del passato, pensare di ripartire dove ci siamo fermati con la stessa “macchina” di prima sarebbe un errore imperdonabile. Dobbiamo ripensare l’intera organizzazione sociale del lavoro, cosa che detta così sembra un compito titanico ma che si affronta con alcuni passi precisi: la sicurezza e la salute delle persone al primo posto , il lavoro come valore, il pubblico come soggetto attivo del cambiamento, il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori nelle riconversioni ambientali delle produzioni e dell’organizzazione sociale. Per fare solo un esempio è chiaro che le opere pubbliche devono essere sempre più di manutenzione, del territorio come del patrimonio immobiliare, abbandonando una logica del consumo all’insegna del profitto e dello spreco. Ci batteremo per ridare valore al lavoro, perché i lavoratori contino di più nelle scelte, a tutti i livelli: internazionale, con il sindacato mondiale ed europeo; nazionale; nel sistema delle imprese; nelle singole aziende. Quella che abbiamo di fronte è una prospettiva politica, sindacale e culturale.
Altro effetto inaspettato della pandemia: la Fiom torna in Fca e lei loda pubblicamente l’atteggiamento dell’azienda. Siete cambiati più voi o è cambiata più l’ex Fiat in questi dieci anni?
La Fiat è diventata Fca, uno dei competitori internazionali nel settore dell’auto. In Fca la Fiom-Cgil ha firmato un accordo per la gestione dell’emergenza e per la ripartenza in sicurezza. Un accordo positivo nel merito e nel metodo che ha messo fine, spero definitivamente, alla stagione degli accordi separati. Di fronte all’emergenza Coronavirus e alla priorità di garantire la sicurezza delle persone che lavorano credo che tutti dobbiamo cambiare atteggiamento. Il merito di quell’accordo mi sembra in assoluta coerenza con i nostri valori e con le nostre pratiche di tutti questi anni. Ora credo che sia necessario andare avanti ed affrontare anche l’aspetto contrattuale di quella vicenda, comprese le scelte di politica industriale e occupazionale che il gruppo sta compiendo con la scelta di fondersi con Psa. Stiamo parlando di un’azienda e di un settore strategico per l’economia nazionale del nostro paese che deve coinvolgere anche il nostro governo. E’ la costruzione del nostro futuro che può offrire il terreno di una nuova azione comune.
Con Fca un accordo positivo nel merito e nel metodo che ha messo fine, spero definitivamente, alla stagione degli accordi separati
La pandemia costringerà anche il sindacato a dimenticare a lungo le piazze, almeno quelle piene a cui la Cgil e lei specialmente è molto legato. Come gestirete questa fase?
Discutere, riconoscersi, ritrovarsi, poter dire la propria, essere riconosciuti come interlocutori, poter votare liberamente sono valori fondamentali, sono la Democrazia. Sono sicuro che continueremo a trovare il modo di esercitare la nostra rappresentanza ed essere al servizio delle persone che per vivere devono lavorare anche se per qualche mese non potremo andare in piazza. Lo abbiamo fatto in queste terribili settimane che abbiamo alle spalle, le nostre sedi, quelle territoriali, delle categorie e dei servizi sono rimaste accessibili in tutti questi mesi anche per via telematica. Le nostre delegate e i nostri delegati e i tanti militanti dirigenti hanno continuato a esercitare la loro funzione e purtroppo alcuni di loro ci hanno lasciato nonostante avessero preso tutte le misure sanitarie prescritte dalle autorità. La Cgil è stata nel paese e insieme al Paese ha affrontato la pandemia. Siamo, insieme a Cisl e Uil, una parte essenziale della società. E continueremo ad esserlo con la presenza fisica, telematica e digitale. Sicuramente il sindacato dovrà trovare nuove forme di coinvolgimento e di decisione per superare i vincoli imposti dalla pandemia. Dovrà rapidamente abituarsi e imparare a usare le nuove tecnologie, con tutti i problemi che queste pongono, ma anche con le opportunità che offrono. Penso che dovremo saper incalzare le imprese e i decisori politici ad aprire nuovi modelli decisionali, dove i processi di formazione delle decisioni siano più democratici e più condivisi a tutti i livelli. Questo anche nel sindacato sia nei confronti dei propri iscritti, sia dei lavoratori. Sarà una fase di grande e spero utile sperimentazione di nuove forme di democrazia, solidarietà e partecipazione. “Insieme con giustizia” si può fare in tanti modi, importane è esserci per cambiare questo Paese. Sempre.