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Legge elettorale. La riforma della legge elettorale è in agenda insieme al taglio dei parlamentari, giunto all’ultimo giro di boa, e posto da M5Stelle come priorità. Se il taglio si facesse a legge elettorale invariata, la distorsione della rappresentatività delle assemblee sarebbe fortissima e incostituzionale

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In una lettera al direttore del Corriere della sera (del 4 settembre) Romano Prodi si lancia in un endorsement senza se e senza ma del maggioritario, in specie se ispirato al doppio turno come in Francia, o all’uninominale di collegio come in Gran Bretagna. Sullo stesso giornale D’Alema suggerisce cautela nella corsa verso un sistema proporzionale, essendo preferibile un maggioritario che favorisca un ritorno al bipolarismo. Su Italiaoggi (5 settembre) Claudio Velardi concorda con Prodi e con D’Alema. Decisamente, un déjà vu.

La riforma della legge elettorale è in agenda insieme al taglio dei parlamentari, giunto all’ultimo giro di boa, e posto da M5Stelle come priorità. Se il taglio si facesse a legge elettorale invariata, la distorsione della rappresentatività delle assemblee sarebbe fortissima e incostituzionale.

Ad esempio, nelle regioni minori solo i primi due partiti otterrebbero seggi in Senato. Un ritorno al proporzionale appare a molti una condizione necessaria. Se ne avverte una eco nel programma di governo (al punto 10), laddove si parla di avviare un percorso di riforma della legge elettorale, assicurando il «pluralismo politico e territoriale». Ma non c’è un esplicito richiamo al proporzionale, e forse qui le opinioni citate hanno giocato un ruolo.

Nemmeno sfugge che oggi qualsiasi impianto maggioritario darebbe al centrodestra un vantaggio incolmabile.

La crisi di agosto ha visto tra le ragioni di fondo la valutazione che il momento fosse favorevole per assaltare Palazzo Chigi.
In questa prospettiva Matteo Salvini ha corso un azzardo, ha scommesso, e ha perduto.

A tutto questo i sostenitori del maggioritario rispondono che bisogna ripristinare il bipolarismo. È ovvio che in un sistema tripolare o multipolare un maggioritario che garantisca il totem della stabilità e della governabilità è fatalmente troppo distorsivo della rappresentatività, e probabilmente incostituzionale.

Per Prodi ciò non rileva, perché «una legge elettorale non è fatta per fotografare il Paese, ma per dargli una maggioranza di governo possibilmente stabile». Non potremmo dissentire di più. Una assemblea elettiva assolve la sua funzione solo se è ampiamente rappresentativa. Diversamente, è una inutile superfetazione istituzionale.

Chi vuole il maggioritario o ritiene irrilevante qualsiasi misura di distorsione della rappresentatività, o pensa a una strategia di alleanze che portando a una competizione tra due coalizioni riduca al minimo la correzione maggioritaria che garantisce la vittoria. A sinistra o nel centrosinistra si pensa a una alleanza pre-elettorale tra Pd e M5Stelle, e forse ancora altri. Ma è una prospettiva plausibile?

Trovare una compatibilità su temi quali le trivelle, la scuola, i beni culturali, il lavoro o persino le grandi opere può essere alla fine non facile, ma possibile.

Ma che dire del diverso modo di concepire la democrazia? Vincolo di mandato, eletti-portavoce, referendum propositivo, taglio dei parlamentari, votazioni su Rousseau segnano un depotenziamento della democrazia rappresentativa che fa allo stato parte del dna del Movimento, e trova qualche eco anche nel programma di governo.

Una strategia duratura di solide alleanze può bene trovare qui ostacoli difficilmente superabili.

Ma poi, siamo sicuri che le chiavi di lettura di un tempo siano ancora valide? In Francia, il doppio turno ha dato a Macron una maggioranza, ma non ha impedito – anzi, indebolendo la rappresentatività del parlamento ha probabilmente concorso a determinare – la rivolta dei gilet gialli.

In Gran Bretagna, emblema della stabilità e della governabilità assicurata dal maggioritario, Boris Johnson ha preso ceffoni dai Commons, e altri probabilmente ne avrà. La stessa unità del regno scricchiola pericolosamente.

Sono prove che maggioranze farlocche create con artifici elettorali non chiudono le faglie politiche, economiche e sociali, e che il fulcro della democrazia è in un parlamento che dia pienamente voce al paese, e non nei palazzi del governo.

Prodi chiede che si prendano «le decisioni necessarie a far sì che l’Italia possa riprendere il suo ruolo in Europa e nel mondo». Dubitiamo assai che abbiamo perso quel ruolo a causa di una legge elettorale non abbastanza maggioritaria, e che basti correggere l’errore per riguadagnarlo.