di Filippo Miraglia (responsabile immigrazione Arci nazionale)
da "Il Manifesto" del 12 maggio 2019
Il fastidio che il titolare del Ministero dell’Interno ha per la Costituzione, le istituzioni della Repubblica, le leggi e le convenzioni internazionali, è così esplicito che dovremmo forse considerarlo eversivo. Così com’è chiara la sua attitudine alla competizione machista. Non potendo piegare l’ordinamento giudiziario ai suoi desiderata, né tanto meno quei corpi dello Stato che svolgono un servizio secondo quanto disposto dalla legge, prova a introdurre modifiche legislative che gli consentano di vincere, costi quel che costi.
Scavalcando competenze e stracciando ogni senso di responsabilità pubblica che dovrebbe avere un ministro.
Intanto ottiene un risultato d’immagine, alimentando il razzismo e provando così ad accrescere il suo consenso personale.
L’obiettivo è comunque assicurato, anche se il testo non arriva neanche in consiglio dei ministri. Se poi ci arriva, e magari viene anche approvato, tanto meglio.
La dinamica del secondo salvataggio effettuato dalla Mare Jonio, la nave di Mediterranea, (piattaforma della società civile sostenuta anche dall’Arci, che ha destinato la raccolta del 5 per mille di quest’anno proprio a Mediterranea) il 9 maggio scorso, deve avere irritato a tal punto il ministro della Propaganda da spingerlo a forzare le istituzioni pur di impedire che quanto è successo si possa ripetere.
Leggendo il primo articolo della bozza di decreto si capisce che il riferimento è proprio a quanto è successo giovedì scorso a 40 miglia dalla Libia, in acque internazionali. La Mare Jonio ha tratto in salvo 30 persone ed ha chiesto, alle autorità italiane, trattandosi di una nave italiana, di indicare un porto sicuro. L’Mrcc di Roma ha risposto inoltrando una mail del Viminale che dice alla Mare Jonio di fare riferimento alle
autorità libiche. Oltre all’evidente illegittimità di questo comportamento, si tratta di una scelta alla quale forse nessuno di noi pensava si potesse arrivare: indicare come posto sicuro un Paese in guerra, dove sono lesi da lungo tempo i diritti umani, oramai anche secondo tutti gli organismi internazionali, e dove le persone sono sottoposte a veri e propri crimini contro l’umanità.
Salvini, e i suoi sostenitori, oramai sembrano aver perso ogni senso di umanità, oltre che di responsabilità. Pur di non ammettere che è necessario intervenire nel mare davanti alla Libia per salvare quelle persone che sono obbligate a fuggire, continua a negare che ci sia un conflitto in corso e che le persone debbano essere evacuate e aiutate a mettersi in salvo.
Mentre l’Unhcr lancia l’allarme per il numero di morti che aumenta ogni giorno nella frontiera più pericolosa del mondo, chiedendo ai governi di intervenire con urgenza se non si vuole assistere ad altre tragedie, il capo della Lega introduce multe per chi salva vite umane, arrivando quindi a criminalizzare lo stesso diritto alla vita.
Secondo il decreto sicurezza bis, quindi secondo il ministro dell’Interno, Alima, la bimba di due anni, il cui splendido sorriso ci ha commosso, sarebbe dovuta ritornare in Libia, in una zona di guerra, in un centro di detenzione, alla mercé delle milizie e dei loro interessi. Metterla in salvo, se questo Decreto fosse stato legge, sarebbe costato dai 3500 ai 5500 euro. Una vergogna forse senza precedenti. Un cinismo al quale nessuno era mai arrivato.
Il decreto spazza via poi alcune tra le principali garanzie Costituzionali, indicando i nemici del Paese sui quali è urgente intervenire. Non la corruzione, la mafia, il disastro del territorio e del clima, la violenza sulle donne, i morti sul lavoro, la povertà, la precarietà e la disoccupazione e il razzismo. Nulla di tutto questo. L’emergenza è impedire i salvataggi e criminalizzare la solidarietà.
Forse è il momento di chiedersi se questo Paese non ha superato la soglia oltre la quale c’è il baratro. La democrazia è a rischio. Davvero.
Un moto di ribellione, riempire le piazze di uomini e donne che dicono di no, io non ci sto, è urgente.
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