Intervento pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 26 gennaio 2019
Il pregio del Manifesto di Calenda è aver aperto un dibattito; il difetto averlo impostato su presupposti confusi e discutibili. Un fronte indistinto – che lui definisce liberal-democratico – in una competizione proporzionale sarà facile bersaglio della propaganda gialloverde, facendo loro il regalo di trasformare le elezioni europee in un referendum sull’Europa.
Da giorni ripete “no a quelli Leu”, eppure tra i promotori c’è Enrico Rossi, fondatore di Mdp, che con altri ha dato vita a LeU. Sostiene poi che debba essere escluso chi cerca alleanze nazionali con Lega o M5S. LeU non ha questa intenzione, ma ritengo sia stato un errore politico grave non avviare dopo le elezioni un dialogo col M5S: per vedere le carte di un possibile bluff e per non consegnare larga parte di elettorato grillino alla Lega, come è avvenuto (stessa posizione di Martina, altro entusiasta firmatario).
Vista la stima che nutro per Calenda voglio rassicurarlo: non aderirò al suo manifesto.
Nella carta dei valori di Liberi e Uguali c’è un concetto a me caro: cambiare il mondo, non aggiustarlo. È indubbio che il centrosinistra, in Italia come in Europa, abbia adottato ricette neoliberiste: in una spirale perversa la politica è stata sopraffatta dall’economia e questa, a sua volta, dalla finanza. Il risultato ci mostra cittadini indifesi di fronte alla ricchezza e al potere di pochi. Calenda denuncia le diseguaglianze e invoca nuove politiche per la crescita e lo sviluppo, ma avendo avuto ruoli importanti negli anni, dal sostegno all’agenda Monti ai successivi incarichi, l’autocritica non basta ad assegnare patenti di novità, eventualmente di trasformismo. Bastano gli esempi dell’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, l’acquiescenza ai diktat tecnocratici sull’austerità e il Jobs Act. Puntare poi, come si afferma nel manifesto,
sugli Stati Uniti d’Europa significa puntare su un’Europa degli Stati nazionali.
La mia critica all’attuale assetto dell’eurozona parte da qui, da qui l’impegno per una radicale trasformazione dell’Unione, a partire dal modello intergovernativo e dalla revisione dei Trattati. Il primo obiettivo è un welfare comunitario: abbiamo la stessa moneta, regole e istituzioni comuni, dovremmo quindi prenderci cura insieme di chi rimane indietro, per affrontare le diseguaglianze ma soprattutto per redistribuire una ricchezza che tutti concorrono a produrre e di cui pochi godono. Occorre mettere in discussione anche l’assetto attuale delle famiglie europee, essere lievito in ciascuna di esse e coltivare l’ambizione di costruire un’unica sinistra, in Italia e in Europa.
Tra le sinistre c’è chi, da anni, si è uniformato alle ricette liberiste e alle politiche economiche di destra, e chi è rimasto legato alla sola testimonianza, con un impegno encomiabile sul piano personale ma non efficace su quello collettivo.
Come noto, nonostante il deludente risultato, continuo a credere che LeU debba trasformarsi in partito: una forza, indipendentemente dal nome, che abbia consapevolezza della complessità dei problemi e dirigenti non compromessi col passato. E’ fondamentale organizzare esperienze politiche e civili che mettono al centro della loro azione libertà e uguaglianza, ma tutto si ferma per tentazioni dirigistiche, personalismi, e tatticismi.
Si diceva “ognuno guarda il proprio orticello”: ora molti si affannano a curare solo la piantina sul proprio balcone. Penso onestamente che la “nuova forza rosso verde” (il cui ideologo ha già firmato con Calenda) sia velleitaria; non di meno dubito che la sinistra possa risorgere grazie a un nuovo cartello elettorale affidato alla visibilità di singoli individui. Non c’è alcun progetto di lungo respiro, nessuna prospettiva che vada oltre le urne.
Nessuno dei dirigenti attuali, me compreso, è all’altezza di questo compito: non servono i più giovani di una vecchia generazione ma – indipendentemente dall’età – una nuova classe dirigente. Servono parole d’ordine chiare sulle quali fondare non solo un partito ma una comunità e la prospettiva di un Paese migliore per cui battersi: istruzione gratuita fino alla laurea; patrimoniale sui grandi redditi; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; investimenti pubblici per creare lavoro e trasformare in senso sostenibile il nostro modello economico; difesa dei diritti; salvare le persone: non accettare la politica degli accordi coi torturatori libici, garantire accoglienza e integrazione in Europa.
Non vedo altro orizzonte possibile: con meno di questo la sinistra nel nostro Paese è destinata a scomparire, avendo lavorato alacremente alla propria estinzione.