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Ho partecipato sabato 1° dicembre all’assise promossa dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris e sono tornato rinfrancato dalla bella e numerosa partecipazione. La platea e le gallerie del teatro erano piene all’inverosimile e molte persone hanno dovuto rinunciare a entrare. Un buon segno! Gli interventi aperti da Enrico Panini, autorevole esponente della giunta e responsabile nazionale del movimento DemA, sono stati svolti da rappresentanti del variegato mondo dell’associazionismo, del volontariato, delle esperienze civiche, da sindaci in prima linea nella lotta alle mafie e per la solidarietà. Insomma l’Italia che resiste esiste ed è molto più grande e articolata di quel che si può credere, dato il clima di silenzio e ostilità che impera nei media ai tempi di Matteo Salvini (e non solo da ora).

La mattinata è volata veloce anche perché la regia accorta ha saputo far mantenere gli interventi nei cinque minuti, cosicché siamo arrivati alla fine avendo ascoltato tanti spunti interessanti e nient’affatto ripetitivi o rituali, come purtroppo non poche volte è accaduto, proprio perché la selezione degli invitati sul palco è stata articolata e innovativa. Alla fine il “leone” di Napoli ha ruggito. Non lo dico per sfottere, ma perché veramente Luigi de Magistris è animato da una tale passione politica che non si può restare indifferenti. I suoi interventi sono caratterizzati da una fortissima tensione morale e dalla ricerca di una coerente visione politica. In primo luogo per rappresentare la straordinaria esperienza di governo della sua città, tanto difficile e inguaiata per i problemi accumulati nei secoli e negli ultimi lustri che non si può non considerare come un successo essere riuscito a non farla deragliare finora, segnando punti molto importanti nell’azione e nell’innovazione di governo che ha orgogliosamente rivendicato.

Agli altri poi non le manda a dire, de Magistris, non risparmia critiche e attacchi a queste destre insorgenti. Non ci sono mezze misure rispetto ai diritti dei migranti: o si sta con la solidarietà e l’accoglienza o contro. Questo è un toccasana per il rischio oggi molto presente di sofistiche distinzioni sulle quali è stata costruita la storica sconfitta del 4 marzo. Così come il j’accuse ai Cinquestelle, oggi alleati della peggiore destra d’Europa e anche in posizione di supino accodamento: l’incoerenza che stanno dimostrando su questioni fondamentali come le controverse grandi opere e i voltafaccia verso i movimenti che hanno determinato i loro maggiori successi sono elencati a uno a uno, senza risparmiare niente. Insomma è lotta dura per evitare il peggio della deriva che questo governo ci sta propinando, e anche critica netta e senza sconti alle ambiguità del Pd, oggi in fase di preliquidazione per sua esclusiva responsabilità.

Questa elementare esigenza di fare chiarezza e costruire un “fronte ampio” per risalire la china, in un contesto molto difficile, è ben chiaro a de Magistris e alla platea. In uno stato emotivo di fiduciosa sospensione, la domanda intrinseca è: ce la faremo? E qui si coglie il dilemma politico vero e non ancora volutamente e realisticamente risolto da de Magistris. Infatti non c’è una proposta definita, in particolare per le elezioni europee, e nemmeno per altri futuri appuntamenti ci sono proclami. La partita è estremamente difficile e tutta da inventare: siamo passati attraverso troppe cocenti delusioni e soprattutto divisioni, che sono la cifra drammatica di una sinistra ormai quasi totalmente espunta dal panorama politico nazionale.

C’è da ritessere una tela strappata, partendo dalla realtà di tutti i giorni, riguadagnando la fiducia di una società sfiduciata e frammentata, incantata dalle sirene del populismo e di promesse elettorali che forse non si potranno mantenere ma che creano una grande dipendenza proprio da parte di quelle fasce sociali che la sinistra dovrebbe coerentemente rappresentare, che sono state invece abbandonate al loro destino.

Non sappiamo se questo progetto potrà veramente decollare: dipende da molti fattori e soprattutto se si innescherà fertilmente anche nei territori, nei luoghi di lavoro, al Nord come al Sud, perché è certo che non può restare un movimento forte solo in alcune realtà per quanto importanti. L’Italia ha bisogno di una sinistra che sappia esprimere tutta l’articolata diversità delle tante situazioni e culture: quel che i grandi partiti del Novecento, tanto vituperati, sapevano comunque rappresentare. Così come lo sguardo all’Europa non può essere legato solo all’imminente scadenza elettorale, semmai al contrario dev’essere un altro elemento costituente di questo movimento. Oggi le destre si combattono innanzitutto sul fronte di un’Unione europea radicalmente rinnovata ma non nella direzione indicata dai populismi.

Siccome conosco de Magistris da molto tempo, da quando era ancora magistrato – ne ho seguito le vicende e apprezzato anche la coerente capacità evolutiva -, sono certo che la sua intelligenza lo guiderà, insieme ad altri che collaboreranno nella costruzione di un processo serio e partecipativo. Questo è il nostro augurio.