Monica Frassoni, eurodeputata dal 1999 al 2009, copresidente del partito Verde Europeo e presidente dell’European alliance to save energy, nell'intervista raccolta da Adriana Pollice e pubblicata su "Il manifesto" del 18.11.2018, sottolinea alcuni fatti fondamentali in tema di inceneritori:
1) Il recupero energetico che si ottiene dai cd termovalorizzatori è infinitamente minore rispetto al valore dei rifiuti che bruciano.
2) Le direttive europee stabiliscono che entro il 2025 almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali deve essere riciclato, il 65% entro il 2035. Con questi livelli di differenziata gli inceneritori già esistenti restano senza materiale da bruciare.
3) Gli inceneritori richiedono un investimento molto oneroso che ha bisogno di almeno 10 anni per essere ammortizzato ma in un decennio l’evoluzione delle tecnologie è rapidissima. Quindi si tratta di strutture molto costose che diventano rapidamente obsolete.
L'intervista:
Frassoni, il ministro Salvini vuole imporre la costruzione di quattro nuovi termovalorizzatori in Campania.
Innanzitutto solo in Italia si usa il termine termovalorizzatore, in qualsiasi altro paese li chiamano inceneritori perché è quello che sono. Qui invece si sceglie un termine che dia loro una connotazione positiva che nella realtà dei fatti non c’è. Infatti, il recupero energetico che si ottiene è infinitamente minore rispetto al valore dei rifiuti che bruciano, che potrebbero invece diventare materia prima seconda. Quelli di cui parla Salvini sono impianti molto grandi che producono una filiera fatta di sprechi senza risolvere il problema alla radice.
Perché non risolvono il problema dello smaltimento?
L’immondizia bruciata non sparisce: a valle del processo, si creano ceneri che vanno smaltite necessariamente in discarica e così torniamo da capo con il problema dei rifiuti. La combustione non genera solo CO2 ma anche nanoparticelle, dannose per la salute. Inoltre sono impianti incompatibili con le direttive europee: entro il 2025 almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali deve essere riciclato, il 65% entro il 2035. Con questi livelli di differenziata gli inceneritori già esistenti restano senza materiale da bruciare. Del resto abbiamo la prova nella città in cui sono nata, Brescia: 25 anni fa eravamo all’avanguardia poi a causa della costruzione dell’inceneritore il comune ha smesso di spingere su raccolta e riciclo, così nel 2016 eravamo inchiodati al 37,6% di differenziata. Adesso l’amministrazione ha deciso di invertire la tendenza, senza l’impianto ci troveremmo molto più avanti. Inoltre, circa il 50% dei rifiuti urbani deriva dagli imballaggi, basterebbe cambiare i packaging per tagliare drasticamente la quantità di immondizia prodotta.
Al nord ci sono il 63% degli inceneritori, 41 in totale in Italia.
Si tratta di un investimento molto oneroso (300 milioni di euro era il costo dell’impianto poi non realizzato a Salerno ndr) che ha bisogno di almeno 10 anni per essere ammortizzato ma in un decennio l’evoluzione delle tecnologie è rapidissima. Quindi si tratta di strutture molto costose che diventano rapidamente obsolete. Le multiutility che li gestiscono per non andare in perdita hanno bisogno di incassare finanziamenti pubblici, ottenuti attraverso le tasse in bolletta, i Cip6, che in Europa non sono più ammessi. Il governo Renzi con lo Sblocca Italia ha classificato gli inceneritori come «infrastrutture strategiche» per metterli a riparo dalle norme Ue. Siccome i Cip6 hanno una durata (in alcuni impianti ad esempio è otto anni ndr), ci sono termovalorizzatori che non li ricevono più, altri ne usufruiscono ancora. Quello che vuole fare Salvini è tenere in vita il settore. Ma così impedisce che si sviluppi un’altro tipo di economia, green e circolare, che invece è quella su cui investe l’Europa. I rifiuti possono essere un business non inquinante. Ricordo che già dieci anni fa in Campania c’erano aziende all’avanguardia nel riutilizzare i materiali per nuove produzioni che però non riuscivano a lavorare per mancanza di materia prima, che veniva sprecata in discarica.
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