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Dopo la straordinaria manifestazione di solidarietà al sindaco Lucano, Salvini posta un video offensivo con le invettive di un prestanome della 'ndrangheta

Al tavolo da poker dove vince chi la spara più grossa, stavolta Matteo Salvini ha perso. Ha fatto una puntata al buio, ma il bluff gli si è ritorto contro. Il tema è ancora quello: Riace e il suo modello di accoglienza. Che per il ministro degli Interni sembra diventato una paranoia. Da «Lucano vale zero» di inizio governo, al video postato sabato sera quando l’eco mediatica della straordinaria manifestazione di Riace aveva oscurato per un po’ il suo presenzialismo bulimico. Pensava d’avere l’asso nella manica e ha subito acceso il ventilatore della propaganda. Ma l’aria mefitica è ben presto ruotata e l’ha colpito in pieno. «Se avete 2 minuti sentite cosa diceva questo cittadino di Riace parlando del sindaco…», scrive Salvini, pronto a dare in pasto la razione di bile quotidiana. È bastato però verificare chi fosse quel cittadino modello, citato dal ministro per buttar fango su Mimmo Lucano, che la frittata era fatta e la figuraccia servita. Pietro Zucco, questo il suo nome, è infatti già noto alle cronache giudiziarie.

FU ARRESTATO IL 10 GIUGNO 2011 con l’accusa di essere prestanome del clan Ruga-Metastasio e poi condannato in Cassazione nel 2015 per intestazione fittizia. La cava di Stilo di cui era rappresentante legale, nella strada che nell’interno porta da Riace alle Serre vibonesi, sarebbe stata di proprietà di Enzo Simonetti, elemento apicale della ‘ndrina, arrestato insieme a lui sette anni fa. Nel comunicato della Gdf, diramato il giorno dell’arresto di Zucco, si legge: «Il ricorso ai prestanome, per il Simonetti, ha rappresentato e rappresenta a tutt’oggi una scelta operativa necessaria visto il suo costante coinvolgimento in vicende di criminalità organizzata, tenuto conto che, della sua affiliazione alla cosca Ruga vi è traccia sicura rappresentata non solo dagli organi di polizia, ma anche soprattutto dalla condanna inflittagli dal Tribunale di Locri nel 1985 e 1996 sempre per partecipazione ad associazione di stampo mafioso».

Il video – che in poche ore dalla sua diffusione è diventato virale, condiviso da tutto l’arco fascioleghista da Alemanno a Meloni – in meno di 24 ore ha totalizzato oltre 500.000 visualizzazioni. È stato girato nel 2016, all’indomani delle prime polemiche dopo l’invio degli ispettori dello Sprar al “modello Riace”. Nel video Zucco calunnia Lucano dicendo che sfrutta gli immigrati facendoli lavorare al posto degli italiani per pochi spiccioli e in nero. Racconta di aver lavorato in uno dei tanti progetti di accoglienza gestiti da Lucano e di non aver ricevuto la paga, e quando si è lamentato è stato cacciato via in malo modo. Zucco accusa Lucano di pensare solo ai neri, tant’è che in Comune i servizi sociali per le famiglie riacesi in difficoltà non hanno mai un euro, mentre «per comprare fiori e cazzate varie i soldi si trovano sempre». Conclude dicendo che Riace non è l’Eldorado che Lucano vuol far credere, e questo perché la stampa ascolta e pubblica solo le sue parole, perché «Riace è un regime e ogni regime si serve di miti» .

Parole che nelle viuzze del borgo jonico fanno sorridere. Perché i riacesi sanno che Zucco è da sempre avversario politico di Lucano. Fu vicesindaco della giunta che nel 2009 fu spedita all’opposizione. Zucco non ha gradito l’elezione a sindaco di Lucano e da allora è diventato il suo principale nemico. E indovinate a quale partito si è iscritto oggi il signor Zucco? Presto detto: Noi con Salvini e fu visto all’Altafiumara Resort di Villa San Giovanni due mesi orsono all’assemblea regionale della Lega, alla presenza proprio di Salvini. A Riace c’è poi chi ricorda che proprio quando era vicesindaco, avrebbe gestito anche il noto ristorante La Scogliera, di proprietà di Cosimo Leuzzi, boss locale, per questo poi confiscato dalla Dda e affidato al Comune di Riace.

Lo scivolone social del ministro degli Interni non è passato inosservato. L’opposizione è passata all’attacco lancia in resta. Laura Boldrini ne ha chiesto le dimissioni: «È troppo. Se ha un minimo di dignità personale e di rispetto per le istituzioni se ne vada immediatamente #SalviniDimettiti». E anche il Pd si è mobilitato contro il ministro: «Un’indecenza mai vista, uno sfregio alle vittime di mafia e a tutti i cittadini onesti #vergogna». Se ha il senso del ruolo che ricopre tolga il disturbo,si scusi e pensi a combattere la ‘ndrangheta», ha tuonato il segretario dem Maurizio Martina. Quel che è certo è che nel decreto sicurezza griffato Salvini la parola ‘ndrangheta non compare una mezza volta.