Si possono dare tutte le interpretazioni che vogliamo sul gioco politico che si è innescato dopo il voto del 4 di marzo. Ma, alla fine, il No di Mattarella al professor Savona ha riacceso la miccia sul fuoco elettorale appena spento. Mentre si profilava un governo sulla strada di una proposta programmatica, di un presidente del consiglio e di una squadra di ministri sostenuti dalla strana maggioranza di Lega e 5Stelle.
Ora invece quel fuoco si riaccende, con una campagna al calor bianco che non riguarda solo la contesa democratica tra diversi soggetti politici, ma attacca frontalmente la legittimità istituzionale del presidente della Repubblica.
Un pessimo esito.
Forse Mattarella scommette sulla formazione di uno schieramento europeista, sulla falsariga di +Europa di Emma Bonino, con Renzi alla testa contro il cartello no-euro di Lega e 5Stelle.
Un processo di riaggregazione delle forze che dal 4 marzo sono uscite sconfitte, da affidare a una leadership renziana di ritorno (Gentiloni è pronto), in difesa dell’euro, del fiscal compact e della collocazione internazionale dell’Italia.
Naturalmente si tratta di una proposta che difficilmente guadagnerebbe voti a sinistra.
Contro le politiche di austerità, come sul debito pubblico la sinistra avrà difficoltà a ritrovare una voce comune, tra chi propone di uscire dall’euro e dalla Nato e chi si schiera come guardia d’onore del capo dello stato, in difesa della democrazia e della Costituzione.
Il richiamo alla vigilanza democratica va sempre tenuto presente, ma non sarà la colla che riuscirà a rimettere in piedi una coalizione sociale. E le elezioni dietro l’angolo sono una promessa di sconfitta.
Anche il M5S rischia grosso.
Con la richiesta di messa in stato d’accusa del presidente della repubblica, i pentastellati perpetuano un infantilismo politico pericoloso. Alzano il tiro con l’impossibile impeachment perché non sanno come uscire da una situazione che li vede a rimorchio della linea leghista.
L’ambiguità politica del M5Stelle, né di destra né di sinistra, sarà messa alla prova dagli schieramenti della prossima campagna elettorale con un sicuro vincitore, che non sarà Di Maio ma Salvini, naturalmente con rapporti di forza diversi dall’attuale 17 a 32. I sondaggi parlano di trionfo del capo leghista.
Il capo dei pentastellati non è riuscito ad assicurare un governo agli 11 milioni che lo hanno votato, molti come sappiamo anche elettori di sinistra, mentre la trappola di Salvini (e vedremo fino a che punto anche di Berlusconi) ha funzionato alla perfezione.
Forse ora tornerà il cartello del centrodestra, Salvini non si è associato alla richiesta di impeachment del confuso Di Maio, Berlusconi dice che voterà contro il governo Cottarelli in pieno accordo con il leader leghista. E il centrodestra potrebbe raggiungere l’obiettivo mancato il 4 marzo di uscire dalle urne con la destra maggioritaria pronta a ricevere l’incarico. Tutto insomma sarebbe auspicabile piuttosto che la miscela Lega-5Stelle.
Proprio le motivazioni che Mattarella ha lungamente elencato pronunciando la parola magica «in pericolo sono i mutui», che tutti a casa capiscono, rappresentano il nocciolo della questione.
Perché dal suo discorso abbiamo capito che a capo della repubblica italiana c’è un regista invisibile: il nostro debito pubblico. Che è la pura verità. Ma su come risalire la china del secondo debito al mondo finora nessuna ricetta offerta dagli ultimi governi lo ha saputo dimostrare.
Su come uscire da una condizione di estrema precarietà economico-finanziaria dell’Italia nel contesto europeo, lo dovrà dire un’altra prova elettorale che, dobbiamo saperlo, non assomiglierà a nessuna di quelle che abbiamo fin qui attraversato.
Già lo vediamo con Di Maio che invita i cittadini a mettere alle finestre la bandiera italiana e a prepararsi per una contro-manifestazione per il 2 giugno. E Salvini che convoca le sua festa per la patria nelle piazze.
Dal candidato Conte in 24 ore siamo giunti al candidato Cottarelli, da un avvocato a un economista, dal signor nessuno a un famoso tecnico scelto da Mattarella per traghettare il paese verso nuove elezioni.
Il presidente della Repubblica ha spiegato l’utilità di tornare al voto in autunno di fronte al grave pericolo costituito da due forze politiche e un ministro dell’Economia che avrebbero potuto portare l’Italia in terra ignota, fuori dall’euro.
Quindi ha usato il suo potere per dire no a Savona e sì a un governo balneare di Cottarelli depositario della fiducia dei mercati.
Forse, a ben vedere, la bandiera del professor Savona e l’accoppiata Salvini-Di Maio non erano poi tanto più temibili di quanto lo sia riandare al voto, con una sorta di referendum pro o contro l’euro.