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Tagliata fuori dal dialogo diretto tra Trump e Putin, l’Unione europea chiede un posto nei negoziati per la pace in Ucraina. Ma Stati uniti e Russia non fanno concessioni. Gli accordi si negozieranno sulle teste di Kiev e Bruxelles e sulle macerie della linea intransigente

L’OFFESA COMUNE Dopo tre anni ci saranno colloqui, ma quel tavolo è solo per due: la telefonata tra Casa bianca e Cremlino lascia l’Unione umiliata

Il negoziato per Kiev, l’Europa tagliata fuori prova a alzare la voce Pete Hegseth a Bruxelles – Ap

 Spiazzati e infastiditi. Così i vertici Ue reagiscono all’iniziativa del presidente americano Donald Trump e alla sua telefonata a Putin per accordarsi sulla fine della guerra in Ucraina. Deliberatamente scavalcata, a Bruxelles non resta che frenare, reclamando il proprio coinvolgimento. O ribadire, come fa la responsabile della politica estera e di sicurezza Kaja Kallas, il sostegno incondizionato a Kiev. La stessa linea intransigente che ha guidato attraverso azioni, dichiarazioni politiche, finanziamenti armati e non, e perfino simboli, la strategia Ue in questi tre anni di conflitto.

URSULA VON DER LEYEN non parla, né subito né in prima persona. Bisognerà attendere il consueto briefing quotidiano alla stampa delle 12 di ieri per avere un’idea di cosa pensa la principale leader dell’Ue. La portavoce della Commissione Paula Pinho fa sapere che la telefonata tra Trump è Putin «non è stata coordinata» con Bruxelles: ammissione evidente della marginalità europea. Poi la portavoce ha provato a gettare acqua sul fuoco, «siamo all’inizio del processo», rimandando all’incontro tra von der Leyen e Zelensky al vertice sulla sicurezza che si apre oggi a Monaco di Baviera.

I silenzi e le esitazioni di Bruxelles non sfuggono al Cremlino. «Prematuro parlare di una partecipazione europea ai negoziati», osserva non senza compiacimento il portavoce Dmitry Peskov. Ben altri toni usa un altro strettissimo collaboratore di Putin come il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev: «L’Europa è una vecchia zitella frigida pazza di gelosia. È brutta e inutile». Giusto meno caricaturale il premier ungherese Viktor Orban, quando attacca quella stessa Ue di cui il suo paese fa parte: «Mentre Trump e Putin negoziano sulla pace, i funzionari dell’Ue rilasciano dichiarazioni prive di valore». Poi affonda: «Non si può chiedere un posto al tavolo dei negoziati. Bisogna guadagnarselo con forza, buona leadership e diplomazia intelligente».

QUANTO AL CONTENUTO della risposta all’iniziativa Usa, l’Ue si arrocca sulla posizione più vicina possibile a quella sostenuta finora. «Ogni pace giusta e duratura deve includere l’Ucraina al tavolo», conferma ancora la portavoce della Commissione. Con tre corollari. Il primo è

che sicurezza ucraina ed europea coincidono. Di conseguenza, sia Kiev che Bruxelles devono essere al tavolo delle trattative, cosa di cui Trump però non si è preoccupato. Infine, «la pace si deve basare sul rispetto di indipendenza e sovranità», ovvero dell’«integrità territoriale dell’Ucraina». Ancora una posizione molto lontana da quella di Washington, che giudica «altamente improbabile» il ritorno ai confini pre 2014.

È PROPRIO L’INTEGRITÀ territoriale ad essere difesa senza ripensamenti da Kaja Kallas, la «ministra degli esteri» Ue e sicuramente la più intransigente contro l’iniziativa di Trump. Lo fa unendosi alla dichiarazione di sei paesi, Italia inclusa, riuniti nel gruppo Weimar plus (Spagna, Germania, Francia, Polonia, allargato al Regno Unito), che chiede una «pace giusta» da trattare con gli alleati Usa. Kallas però non manca di ribadire il concetto. Parla di tempistica sbagliata per fare concessioni a Putin, ammonendo che ogni accordo affrettato con Mosca sarebbe un «affare sporco» e comunque «non una buona tattica». Incontrando il responsabile della difesa di Kiev Umerov a margine del vertice dei ministri della difesa Nato a Bruxelles, Kallas ha sottolineato che «gli ucraini sono fermi» e «non rinunceranno alla loro libertà e al loro territorio». Ancora di più, «se l’Ucraina decide di resistere, noi individueremo nuove iniziative per aiutarla», perché «i principi per cui si batte l’Europa non sono cambiati e nemmeno i principi per cui l’Ucraina sta combattendo».

IL «WHATEVER IT TAKES» per Kiev, tante volte pronunciato dai leader Ue sembra superato dai fatti. In serata, il premier Polacco Tusk rilancia l’«unità di Ucraina, Ue e Usa» come requisito per l’avvio dei negoziati di pace, facendo sapere di aver sentito al telefono tutti i leader europei, compreso il cancelliere tedesco Scholz. Ma rimane aperta la domanda di quale ruolo potrà giocare l’Europa nel futuro dell’Ucraina Di sicuro, un primo grande interrogativo riguarda la contropartita promessa all’Ucraina dall’Occidente, una volta terminato il conflitto, per garantire la sicurezza futura. Il problema non è tanto l’adesione di Kiev all’Ue, innocua per Mosca e di là da venire, quanto piuttosto l’ingresso nell’Alleanza atlantica.

«Sarà al momento opportuno», cioè «non adesso», fanno sapere dalla Nato assecondando Trump. Il mantra per i paesi Ue è quello che il segretario generale della Nato Mark Rutte ripete senza sosta: dovete spendere di più in armamenti, dovete occuparvi voi della vostra difesa. La promessa di un ruolo ancillare per un’Europa che oggi si ritrova politicamente afona