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Il caso Nel 2025 ricomincia l'austerità. Per ora saranno colpiti ministeri e enti locali. Università, cultura, industria a rischio

Manifestazione alla Sapienza di Roma Manifestazione alla Sapienza di Roma

Il disegno di legge di bilancio approvato alla Camera è arrivato ieri al Senato dove sarà approvato definitivamente entro la fine dell’anno. A partire da quel momento sarà ufficiale: l’austerità tornerà in Italia e taglierà, per il momento, più di 12 miliardi di euro a ministeri (7,7 miliardi in meno) e enti locali (5,6 miliardi in meno che possono arrivare fino a 8 nel 2037). La cura da cavallo comminata con modalità diverse durerà per i prossimi anni (per i ministeri tre, per gli enti locali fino al 2029 e oltre) e sarà più chiara a partire dai primi mesi del 2025 quando ministeri e enti locali dovranno comunicare le modalità che seguiranno per realizzare i tagli, contenere la spesa, congelare gli investimenti.

Ciò implicherà il lento strozzamento dei servizi pubblici essenziali, il progressivo fermo delle assunzioni, il taglio ai fondi per la ricerca e la cultura, quelli agli investimenti nella produzione industriale che da 21 mesi sta crollando senza un domani. E molto altro. Tutto questo è dovuto al fatto che il governo ha firmato il nuovo patto di stabilità europeo che irrigidisce le norme sospese nel 2020 a causa del Covid in un momento in cui l’economia ristagna. La stima del Pil italiano di quest’anno è stata dimezzata (0,5% rispetto all’1% preventivato dal governo). Il blocco della spesa pubblica, oltre alla mancanza di investimenti strutturali, è quanto di peggio può accadere oggi. Tenendo conto che gli investimenti del Pnrr sono a tempo e per di più incerti nella loro effettivo impiego.

«Il conto – ha denunciato ieri il gruppo parlamentare del Partito democratico – come sempre, sarà pagato dai più poveri: lavoratori dipendenti e pensionati, a cui non solo verranno aumentate le tasse, ma saranno ridotti i servizi pubblici essenziali, come sanità, welfare, scuola e trasporto pubblico locale». Alla Camera è stato bocciato un emendamento alla manovra che avrebbe aumentato di 5 miliardi di euro il fondo per il sistema sanitario che, in prospettiva, risulterà finanziato in maniera inadeguata rispetto ai fabbisogni e alla (non) crescita del Pil.

I Cinque Stelle hanno depositato 159 emendamenti in cui chiedono tra l’altro di ripristinare i 4,5 miliardi di euro destinati al settore bellico provenienti dal fondo che dovrebbe assicurare un futuro «green» all’automotive e di cancellare 1,4 miliardi in più tolti ai fondi di coesione per le regioni e destinati al Ponte di Salvini sullo Stretto di Messina. «Hanno garantito un fondo da 500 mila euro per i rimborsi ai ministri tecnici – ha osservato Pietro Lorefice (Cinque Stelle) danno 1,8 euro in più al mese a quasi due milioni di pensionati minimi. Sono arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti». Lo canta Frankie hi-nrg in «Quelli che benpensano».

Anche quest’anno ha fatto discutere l’«assalto alla diligenza» delle finanze pubbliche da parte di lobby e consorterie. La polemica delle «mancette», un modo sprezzante per indicare la mancanza di una politica economica programmatica, ha tenuto banco. Il Pd ieri ha proposto in un emendamento presentato in Senato di destinare 100 milioni di euro di questi fondi a quello dedicato alla non autosufficienza: 30 milioni circa per i prossimi tre anni. «Se i senatori che sostengono il governo avessero un minimo di dignità si ribellerebbero e modificherebbero il testo di questa manovra senza anima e senza prospettive» ha detto il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia.

Poco probabile che accadrà. La manovra va approvata dal Senato senza modifiche. Era pronta già da ottobre e come sempre si è arrivati alla fine dell’anno con l’acqua alla gola. Confermando quello che è già noto: «In Italia non c’è più il bicameralismo paritario ma un monocameralismo alternato. È incostituzionale» ha detto il senatore Dario Parrini (Pd).