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Giappone Il premio di Oslo per la pace assegnato a Nihon Hidanky, l’organizzazione giapponese dei sopravvissuti alla bomba nucleare. Che ricorda: Gaza come allora Hiroshima

Un Nobel contro l’atomica I resti di un edificio a Hiroshima a seguito dell’impatto della bomba atomica – foto Ap

Il premio Nobel per la pace 2024 è stato assegnato all’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo, un gruppo fondato nel 1956 da sopravvissuti delle due bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Il riconoscimento è stato assegnato per il forte e fermo impegno dell’organizzazione, che era già stata candidata in tre passate occasioni (1985, 1994 e 2015), nel costruire una società dove non esistano più le armi nucleari. Si tratta del secondo Nobel per la pace giapponese dopo quello vinto cinquant’anni fa dal primo ministro Eisaku Sato per l’adesione del Giappone al Trattato di non proliferazione nucleare.

NEL SUO DISCORSO, il presidente del comitato norvegese per il Nobel, Joergen Watne Frydnes, ha dichiarato che gli sforzi del gruppo e di altri rappresentanti degli hibakusha, i sopravvissuti ai due ordigni atomici, hanno contribuito in maniera importante alla formazione di un sentimento anti-nucleare nella società contemporanea. È quindi enormemente allarmante, ha continuato Frydnes, che oggi questo tabù contro l’uso delle armi nucleari sia messo sotto pressione e in discussione da paesi che stanno modernizzando e potenziando i loro arsenali. Inoltre nuovi stati sembrano prepararsi ad acquisire armi nucleari ed esiste la minaccia di usare queste testate nei conflitti attualmente in corso. Frydnes ha concluso il suo discorso sottolineando il fatto che, in questo momento della storia umana vale la pena ricordare a noi stessi cosa siano le armi nucleari, le armi più distruttive che il mondo abbia mai visto.

Una preoccupazione confermata dalla stessa associazione nipponica. «A Gaza vediamo bambini insanguinati, è come in Giappone 80 anni fa», ha affermato Toshiyuki Mimaki, direttore dell’organizzazione esposto alle radiazioni nella sua casa di Hiroshima all’età di 3 anni, commentando l’assegnazione del premio.

IL RICONOSCIMENTO arriva un anno prima dell’ottantesimo anniversario delle due bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945 e premia l’attività dell’organizzazione giapponese in un annata in cui fra i candidati c’erano anche l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e la Corte penale internazionale, tra gli altri.

AL MOMENTO sono circa centocinquantamila gli hibakusha e la loro età media sarebbe, secondo i dati del governo giapponese, di 85 anni, il che significa che sarà sempre più difficile, in futuro, portare le loro testimonianze dirette alle nuove generazioni. Si tratta di una testimonianza che è inscritta, con dolore, nei corpi e nella memoria di questi sopravvissuti e delle loro famiglie, vittime che furono doppiamente colpite dalla tragedia. Non solo le bombe sganciate sulle due città con gli orrori che ne conseguirono infatti, ma il fatto che in seguito, e in parte ancora oggi, siano stati oggetto di discriminazione continua, senza dimenticare poi che lo stato Giapponese rifiutò la responsabilità di aver scatenato la guerra e quindi il conseguente risarcimento agli hibakusha, sia giapponesi sia i migliaia di coerani che furono portati in Giappone come manodopera e che si trovavano nelle due città al momento delle esplosioni.

LA TESTIMONIANZA dell’orrore senza fine causato dai due ordigni atomici e la colpa e responsabilità dello stato sono due dei pilastri su cui si fonda il Nihon Hidankyo, il cui nome completo è Confederazione Giapponese delle Organizzazioni delle Vittime delle Bombe Atomiche e a Idrogeno. Bomba a idrogeno perché in principio, fu fondato il dieci agosto 1956, si trattava di un gruppo di protesta anche contro i test americani effettuati nei pressi dell’atollo di Bikini a partire dal 1954, quando circa un migliaio di pescherecci giapponesi furono contaminati dalle radiazioni. È una coincidenza affascinante che proprio fra qualche settimana, esattamente il 3 novembre, si celebri il settantesimo anniversario dell’uscita del primo Godzilla diretto da Ishiro Honda, il 3 novembre 1954, lungometraggio che fu ispirato ai fatti dell’atollo di Bikini.

SECONDO LO STATUTO dell’organizzazione, i tre obiettivi principali delle attività del gruppo sono la prevenzione della guerra nucleare e l’eliminazione delle armi nucleari, da ottenere attraverso la firma di un accordo internazionale per la messa al bando e la totale eliminazione di queste. Il risarcimento da parte dello stato dei danni causati dalle due bombe, vale a dire, la responsabilità dello stato giapponese per aver scatenato la guerra, come si scriveva più sopra, dovrebbe essere pienamente riconosciuta con i conseguenti risarcimenti. Non ultimo, l’organizzazione si adopera e lotta per il miglioramento delle attuali politiche e misure di protezione e assistenza nei confronti degli hibakusha. Come ha fatto attentamente notare la studiosa Akiko Naono, una caratteristica poco discussa del Nihon Hidankyo, ma importante se si vuole comprendere come l’organizzazione abbia saputo evolversi, è stata la sua ferma opposizione verso il governo giapponese, una politica di fatta di lunghi contrasti e lotte

 

L'80° anniversario dell'eccidio Dopo il forfait in agosto a Stazzema il governo invia i ministri forzisti Tajani e Bernini

Sergio Mattarella incontra Frank-Walter Steinmeier foto LaPresse Sergio Mattarella incontra Frank-Walter Steinmeier – foto LaPresse

Oggi a Monte Sole e Marzabotto si celebra l’80 esimo anniversario dell’eccidio che Ss e fascisti perpetrarono tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 sulle colline a pochi chilometri da Bologna. Ci sarà Sergio Mattarella con il collega tedesco Frank-Walter Steinmeier: nel 2002 furono Carlo Azeglio Ciampi e Johannes Rau ad abbracciarsi sotto le querce di Monte Sole, un gesto di memoria e di riconciliazione per la più grave strage di civili della seconda guerra mondiale su territorio italiano. Incontreranno i parenti di alcune delle 770 vittime di quella violenza cieca contro civili inermi, alcuni trucidati dentro la chiesetta di Casaglia di cui ora restano solo le rovine. Poi visiteranno il sacrario, infine i discorsi ufficiali nella piazza di Marzabotto. La giornata si aprirà con jna messa officiata dal presidente della Cei Matteo Zuppi. Mattarella e Steinmeier, entrambi al secondo mandato, sono ormai amici, e hanno passato tre giorni sempre insieme durante la visita del capo dello Stato in Germania. E insieme partiranno domani da Colonia per raggiungere Bologna e poi Marzabotto. Steinmeier si è detto «grato» per l’invito e si appresta a venire in Italia con «profonda umiltà».

Il governo, last minute, fa sapere che ci sarà. Non si ripeterà quanto accaduto a Stazzema a inizio agosto, tra mille polemiche, quando l’esecutivo di Giergia Meloni non inviò neppure un sottosegretario all’80 esimo anniversario di quell’eccidio. Ci sarà il ministro degli Esteri e leader di Fi Antonio Tajani, che volerà dalla Germania a Bologna insieme al Cepo dello Stato che ha accompagnato durante la visita di Stato. E ci sarà anche la ministra dell’Università Anna Maria Bernini, sempre di Fi, bolognese. Presenze che fino a ieri pomeriggio non erano state comunicate, lasciando il dubbio che il governo Meloni volesse ignorare anche questo importante anniversario. E invece, complice la moral suasion del Quirinale, questo sgarbo è stato evitato. Non è un caso che il governo sia rappresentato da due esponenti di Forza Italia, mentre quelli di Fdi e Lega si siano tenuti a distanza, a partire dai sottosegretari bolognesi Galeazzo Bignami e la salviniana Lucia Borgonzoni .

Il ruolo del Colle è stato determinante per superare rancori, ferite e pregiudizi, per poter parlare da qualche anno di compiuta riconciliazione italo-tedesca. Nel 2013 i presidenti Giorgio Napolitano e Joachim Gauck resero omaggio a Sant’Anna di Stazzema, commemorando le 560 vittime della strage nazista del 12 agosto 1944. Per Mattarella la memoria è un pilastro fondamentale: il giorno stesso dell’elezione al Quirinale il suo primo atto ufficiale fu una visita alle Fosse Ardeatine a Roma. Ci tornò poi con Steinmeier nel maggio del 2017. In agosto, nel suo messaggio al sindaco di Stazzema, il presidente ricordò che in quei luoghi «la repubblica ha le sue radici» e che Stazzema, come Marzabotto, compongono un «sacrario europeo del dolore» da cui nasce la democrazia

Germania. La direzione del Gruppo ha prevalentemente ignorato importanti tendenze del mercato e non ha effettuato investimenti. Ora si è aperto il dibattito, cui partecipano politici e sindacati, su come salvare la casa d’auto. Anche con aiuti pubblici

Volkswagen, i problemi di mobilità sono problemi di classe Modellini giocattolo del Maggiolino Volkswagen, in basso una protesta nello stabilimento di Wolfsburg - Ap

La Volkswagen (VW) è in profonda crisi. Si annuncia la chiusura di alcuni impianti. Nel 2023, la multinazionale aveva ancora enormi riserve accumulate e registrava un utile netto di 16 miliardi. Di questi, 4,5 miliardi sono stati distribuiti nel 2024. Sebbene fattori come l’aumento dei costi dell’energia abbiano giocato un ruolo nella crisi, la direzione del Gruppo ha prevalentemente ignorato importanti tendenze del mercato e non ha effettuato investimenti che sarebbero stati importanti.

Non solo, ma soprattutto per il mercato centrale di VW, la Cina, manca nella gamma un’auto elettrica economica. Chi si lascia sfuggire tali sviluppi non deve sorprendersi se risulta poi fortemente penalizzato dal punto di vista economico. Le leggi della concorrenza sono implacabili. Alla luce della situazione attuale, tuttavia, sono le enormi distribuzioni di profitti a far scuotere la testa.

VW ha ora annunciato riduzioni dei costi e un duro programma di austerità. Per i dipendenti, in particolare, non è un buon segno il fatto che il Gruppo abbia annullato diversi accordi salariali aziendali che prevedevano, tra l’altro, la garanzia del posto di lavoro fino al 2029. La direzione vuole ora rinegoziare le retribuzioni di operai e dirigenti. L’azienda potrebbe procedere a licenziamenti per ragioni aziendali già a partire dal 2025.

Oltre ai dipendenti, tutto questo sta spingendo anche i politici e i sindacati a intervenire, con le loro idee, nel dibattito su come salvare la VW. Per il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW), gruppo conservatore di sinistra, scissionista del Partito della Sinistra tedesca, fondato da Sahra Wagenknecht qualche mese fa, l’intera situazione è piuttosto imbarazzante, poiché negli ultimi mesi i suoi politici si sono ripetutamente espressi a favore di un ritorno ai motori a combustione, invece di sostenere la necessaria svolta verso la mobilità elettrica. I sindacati e il consiglio di fabbrica stanno cercando di trovare soluzioni socialmente accettabili. Si discuterà anche di aiuti pubblici.

Nulla di tutto ciò è sbagliato in linea di principio. Ma il partito Die Linke, il partito socialista democratico nel sistema partitico tedesco, dovrebbe andare oltre e riconoscere, ad esempio, che un’azienda guidata dai dipendenti avrebbe gestito i profitti del passato in modo più responsabile e investito in modo più sostenibile nel proprio futuro.

Oltretutto la cogestione e le quote rilevanti di VW detenute dallo Stato federale della Bassa Sassonia conferiscono al Gruppo una posizione speciale nel panorama industriale tedesco. Ad esempio, l’elevato livello di partecipazione statale in Bassa Sassonia consente di esercitare un’influenza significativa sulla politica aziendale di VW. Qui si dovrebbero porre ulteriori questioni, ad esempio la proposta di una socializzazione di ampio respiro che andrebbe finalmente portata avanti nel dibattito con fiducia e sicurezza di sé.

Sarebbe anche opportuno per una sinistra politica collegare strettamente la crisi del VW con l’imminente transizione della mobilità sociale. Non si tratta solo di mobilità elettrica, soprattutto se deve essere sociale. Perché i problemi di mobilità sono problemi di classe. Le persone più povere nelle aree urbane e rurali dipendono da una rete di trasporti pubblici strutturata e funzionale. Nelle aree rurali è molto più difficile garantirla, a causa delle diverse densità di popolazione. Deve essere ben finanziata sia nelle aree urbane che in quelle rurali. E sono necessarie anche ricerca, sviluppo e produzione che creino la tecnologia, i veicoli e le infrastrutture che servono non solo per il trasporto privato, ma anche per il trasporto pubblico.

In definitiva la crisi del Gruppo potrebbe essere una leva per portare avanti un “cambio di corsia” socio-ecologico. Per raggiungere questo obiettivo, VW dovrebbe essere ritenuta responsabile e i politici dovrebbero creare le condizioni quadro necessarie per il cambiamento.

*L’autore è consulente per la formazione politica presso la Rosa-Luxemburg-Stiftung di Berlino. Ha gentilmente accettato di scrivere una versione per i lettori italiani del suo articolo pubblicato dal quotidiano della sinistra tedesca Nd 

 

La reazione degli uomini della sicurezza subito dopo gli spari che hanno colpito Donald Trump durante un comizio a Butler, in Pennsylvania Gene J. Puskar/AP Photo

Nella foto: La reazione degli agenti di sicurezza subito dopo gli spari che hanno colpito Donald Trump durante un comizio a Butler, in Pennsylvania (Gene J. Puskar/AP Photo) I proiettili sparati in Pennsylvania contro Trump hanno riaperto la pratica sanguinosa di una storia che ha visto attentati a 11 dei 46 presidenti del paese. Si è chiusa così una settimana che ha visto gli occhi del mondo puntati sugli Stati Uniti: a Washington si è infatti tenuto il summit per i 75 anni della Nato, terminato in un documento finale che parla quasi unicamente di riarmo. Intanto a Gaza si continua a morire. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni.

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FRANCIA. Estrema destra al 33%, blocco di sinistra al 28% 306 le sfide “triangolari”. Ma non tutto è perduto. Il Fronte popolare fa un passo indietro quando utile. Tra i centristi invece ci sono dubbi. I Républicains, in netto declino, non danno nessuna indicazione di voto. La coalizione del presidente, Ensemble, in testa solo in 68 circoscrizioni

Emmanuel Macron

L’estrema destra è alle porte del potere in Francia. Ma è ancora possibile evitare il peggio, la maggioranza assoluta al Rassemblement National. Bisogna aspettare oggi alle 18, per vederci più chiaro sugli schieramenti per il secondo turno di domenica 7 luglio, dopo la conferma del terremoto politico che sta scuotendo la Francia con i risultati del primo turno.

Ieri c’erano già più di 170 “desistenze” al secondo turno dei candidati nelle 306 sfide “triangolari” possibili. L’alta affluenza alle urne ha permesso molte “triangolari”, cioè oltre ai primi due candidati arrivati in testa un terzo ha la possibilità di presentarsi (ci sono persino 5 quadrangolari).

L’ESTREMA DESTRA – Rn più il drappello portato dall’ex Lr, Eric Ciotti (il partito di Zemmour, Reconquête, è quasi sparita) – ha ottenuto il 33%, 10,6 milioni di voti (nel 2017 ne aveva 3 milioni,

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