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Dopo tante bugie ora è tutto chiaro: il governo fa peggio della legge Fornero. La mobilitazione continua con lo sciopero

 

Come assestare il colpo di grazia alle speranze pensionistiche di tante persone. Fatto! Bastano poche mosse in legge di bilancio. E non importa se è il contrario di quanto promesso in campagna elettorale da Salvini al grido di: “Quota 41”. Il risultato è sotto agli occhi di tutti: mesi di tavoli inutili, con una pletora di interlocutori, per fare peggio dei governi precedenti e addirittura della madre di tutti i guai di oggi: la legge Monti-Fornero che ormai appare persino lecito ribattezzare legge “Salvini-Meloni”. Insomma: dopo tante bugie la verità è chiara: motivo in più per proseguire la mobilitazione con lo sciopero

Duro il commenta della Cgil. “Sul disastro previdenza e sulla necessità di promuovere correttivi di emergenza alla legge di bilancio, leggiamo dichiarazioni che ci preoccupano – osserva la segretaria confederale Lara Ghiglione –. La modifica delle aliquote di rendimento per i pubblici è assolutamente sbagliata e per questa ragione l’esecutivo deve fare una retromarcia totale, e non parziale su questo provvedimento che ha dei profili di incostituzionalità”. 

 

“La norma - aggiunge la dirigente sindacale - deve essere cambiata per tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori pubblici che il Governo pensa di penalizzare retroattivamente. L'idea di fare cassa con le pensioni è un errore rispetto al quale sciopereremo nelle prossime settimane, insieme alla Uil". Ma vediamo in sintesi come cambierebbe, in peggio, la previdenza italiana.

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FUORI QUOTA

Con le nuove norme non si dà alcuna risposta a giovani, donne e pensionati. Cominciamo dalle quote. “Quota 103”, cioè la pensione con 62 anni di età e 41 di contributi, subisce un ricalcolo col sistema contributivo che può portare a un taglio dell’assegno del 20%. Non solo: le finestre di uscita aumentano di altri 4 mesi per i privati e 3 mesi per i pubblici, mentre viene anche previsto un tetto massimo.

APE SOCIALE PIÙ DIFFICILE

Viene innalzato il requisito di età che passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Vengono esclusi tutti quelli nati dopo il 1° agosto 1961.

OPZIONE DONNA NON C’È PIÙ

È una delle novità più difficilmente digeribili, con l’innalzamento dei requisiti (35 anni di contributi e 6i anni di età al 31 dicembre 2023) e solo per caregiver, invalide dal 74%, licenziate o dipendenti da aziende con un tavolo di crisi aperto. La misura viene di fatto azzerata.

GIOVANI: SEMPRE PIÙ TARDI

Innalzato l’importo soglia da raggiungere per accedere alla pensione anticipata nel sistema contributivo (a 64 anni con almeno 20 anni di contributi), da 2,8 a 3 volte il minimo (1.596 euro circa)

QUALE ANTICIPO

Il traguardo agognato della pensione viene spostato ancora più avanti. Dal 1° gennaio del 2025, se crescerà l’attesa di vita, potrà non bastare più avere 42 anni e 10 mesi di contributi, uno in meno per le donne.

INDICIZZAZIONE, TAGLIO CONFERMATO

Nessun intervento per la piena indicizzazione delle pensioni. Viene infatti confermato il taglio previsto lo scorso anno oltre 4 volte il trattamento minimo. Si punta poi a costituire una commissione che possa rivedere l’inflazione attraverso l’utilizzo del deflattore del Pil, sentito il Cnel.

SCURE SULLE PENSIONI PUBBLICHE

Infine, la ciliegina sulla torta. Dal 1° gennaio 2024 vengono riviste le aliquote di rendimento per la quota pensione retributiva per chi lavora negli enti locali, per chi è iscritto nella cassa sanitari, alla cassa degli ufficiali giudiziari e insegnanti delle scuole dell’infanzia o parificate.

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