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Stallo e strisce Per ora 34 morti accertati, ancora molti feriti in condizioni gravi Il Cremlino: «Raid mirato a un incontro con militari occidentali». Da quando sono iniziati i colloqui per la tregua sono stati lanciati oltre 10mila ordigni

Vigili del fuoco trasportano il corpo di una delle vittime dell’attacco russo a Sumy foto Ap Vigili del fuoco trasportano il corpo di una delle vittime dell’attacco russo a Sumy – foto Ap

Fuori dai reparti di terapia intensiva degli ospedali di Sumy sono assiepati decine di giornalisti. Familiari, parenti e amici fanno avanti e indietro da domenica mattina, portano cibo e tè caldo e fermano chiunque abbia un camice. Qualcuno se n’è già andato e sta organizzando i funerali. Chi resta spera in un miracolo di Pasqua. Secondo Zelensky almeno «11 persone, tra cui tre minori» sono in condizioni critiche e al momento il bilancio ufficiale è di 34 morti (inclusi due bambini) e 119 feriti.

ALLE ORE 10.15 circa di domenica mattina due missili balistici russi Iskander hanno colpito la città di Sumy, capoluogo dell’omonima regione, causando una strage. Siamo nel nord-est dell’Ucraina, a ridosso del confine con il territorio russo del Kursk. Molte persone si stavano recando in chiesa per le celebrazioni della domenica delle Palme e un bus che dalle zone periferiche della città viaggiava verso il centro è stato centrato da un missile. Per il governatore del Sumy, Volodymyr Artjuch, la maggior parte delle vittime è morta sul colpo. Tutto intorno gli infissi delle residenze private e dell’università statale sono saltati in aria, le lamiere dei chioschi si sono deformate per il calore o sono volate per decine di metri, molte delle auto parcheggiate nelle vicinanze hanno preso fuoco. Il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, l’onnipresente Andriy Yermak, sostiene che «le testate erano caricate con bombe a grappolo», ma al momento non ci sono conferme indipendenti.

MENTRE si liberavano ancora le strade dai detriti e le ambulanze sfrecciavano da un ospedale all’altro di Sumy, nel mondo si è levato un coro di accuse quasi unanime nei confronti della Russia. «La strage della domenica delle Palme» titolavano i giornali. I leader europei, da quelli dell’Ue ai capi di stato e di governo dei singoli Paesi hanno dichiarato che è proprio in virtù di questo «terrore» che bisogna continuare ad armare l’Ucraina e a sostenerla economicamente. Volodymyr Zelensky ha dato del «bastardo» a chi riesce a «spingersi a tanto», riferendosi senza nominarlo a Vladimir Putin e ha chiamato gli alleati a «una forte risposta comune». I vertici di Russia e Stati uniti hanno atteso che passasse la nottata e ieri sono ripartiti all’attacco. Per Donald Trump, dal solito siparietto sull’Air force one, si è trattato di «un errore» per quanto «terribile», almeno così gli hanno detto.

Più tardi il tycoon deve averci ripensato, quale miglior momento per ricominciare a parlare di sé: «Il presidente Zelensky e Joe Biden hanno fatto un lavoro orribile lasciando» che questa guerra iniziasse, «se ci fossi stato io tutto ciò non sarebbe mai accaduto». Ed è tornato a sciorinare cifre a caso su «milioni di morti» e sull’«incredibile patrimonio artistico ucraino distrutto». Alla fine, però, devono avergli fatto notare che nell’elenco mancava qualcuno e ha concesso: «Putin non avrebbe mai dovuto iniziarla. La colpa è di tutti».

IL CREMLINO ha invece fornito una versione completamente diversa dei fatti. Non solo ha detto di «colpire solo obiettivi militari», ma ha sostenuto che a Sumy, nella struttura colpita a pochi metri dall’autobus della strage, «si stava svolgendo una riunione tra i leader militari ucraini e i loro colleghi occidentali, che o si spacciavano per mercenari o non so chi». Sessanta militari sarebbero stati uccisi e, ovviamente, «l’operazione ha raggiunto tutti gli obiettivi prefissati».

IN OGNI CASO l’azione diplomatica langue e da quando sono iniziati i colloqui tra Washington e Mosca (e l’Ucraina ha accettato una tregua temporanea che non è mai stata messa in atto), lo scorso 11 marzo, quasi 10mila ordigni hanno sorvolato i cieli dei due Paesi in guerra. «Noi abbiamo mantenuto la parola», ha dichiarato il ministro degli esteri russo Lavrov, «e gli ucraini ci hanno attaccato fin dall’inizio ogni giorno che passa, forse con due o tre eccezioni». «Menzogne e propaganda – ha replicato l’omologo ucraino Sybiga – La Russia ha intensificato il terrore e ha lanciato quasi 70 missili, oltre 2.000 droni Shahed e oltre 6.000 bombe aeree guidate contro l’Ucraina, per lo più contro i civili». Trump ha dichiarato che «presto arriveranno nuove proposte» per fermare la guerra, ma forse sarebbe più corretto dire che la sicumera con cui pensava di poter costringere i belligeranti al conflitto inizia a incrinarsi.