Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Gli ayatollah Da Evin sono passati tutti, prima gli oppositori della monarchia, poi quelli della repubblica islamica, a volte in drammatici scambi di ruolo tra detenuti e carcerieri. Ecco come funzionano le […]

Iraniani camminano davanti a un dipinto murale del leader Khamenei a Teheran foto Abedin Taherkenareh/Ansa Iraniani camminano davanti a un dipinto murale del leader Khamenei a Teheran foto Abedin Taherkenareh/Ansa

Da Evin sono passati tutti, prima gli oppositori della monarchia, poi quelli della repubblica islamica, a volte in drammatici scambi di ruolo tra detenuti e carcerieri.

Ecco come funzionano le prigioni di Teheran nel racconto dell’oppositore e giornalista Ahmad Zeidabadi, che c’è stato più volte: «I prigionieri ritenuti più interessanti vengono legati e incappucciati e trasferiti al Sepah 59, un carcere dei pasdaran di cui si conosce soltanto il nome in codice. Lì puoi restare bendato per settimane mentre ascolti nelle altre stanze le voci e le grida di quelli che vengono interrogati e torturati. A Evin invece si sta in trenta in celle di 24 metri quadrati e si dorme per terra. Poi c’è la separazione: al braccio 269 vanno i comuni, al 240 ci sono le celle di isolamento e punizione, al 209 una sezione dei servizi segreti dove i carcerati devono tenere sempre gli occhi bendati, al 325 la sezione speciale per i religiosi, i mullah, e una per intellettuali e giornalisti».

L’arresto di Cecilia Sala è un segnale di un nervosismo crescente di un regime che manda segnali fuori ma anche dentro a un Paese colpito dalle batoste mediorientali e dove all’interno sono in vigore le regole di guerra e una censura sempre più stretta. Che colpisce anche gli stranieri.

Secondo un recente rapporto dell’Istituto francese per le relazioni internazionali (Ifri) firmato dallo studioso Clement Therme, che esamina in particolare «il caso degli europei detenuti a Teheran», l’arresto arbitrario di cittadini stranieri o con doppia nazionalità ha origini lontane in Iran – dal 4 novembre 1979 quando nell’ambasciata Usa furono presi dagli studenti dozzine di diplomatici – ed è riconducibile alla cosiddetta diplomazia degli ostaggi che in passato ha permesso alla repubblica islamica, in un contesto di sanzioni internazionali, di usare i prigionieri come leva per ottenere favori o la liberazione di iraniani detenuti all’estero (oggi si parla di un cittadino iraniano-svizzero arrestato il 16 dicembre a Malpensa su mandato di cattura americano). Questa pratica tuttavia, secondo l’Ifri, si sta ritorcendo contro lo stesso Iran, destinato a rimanere «diplomaticamente inaffidabile».


L’Iran oggi si tiene in piedi grazie alle sue risorse energetiche e ai rapporti privilegiati con Russia e Cina, due membri del consiglio di sicurezza Onu che ne caldeggiano l’ingresso ufficiale nei Brics dove Teheran ha partecipato per la prima volta in ottobre al vertice di Kazan. Ma è in Medio Oriente che l’Iran sta assistendo allo sgretolamento dell’asse della resistenza contro Usa e Israele e della Mezzaluna sciita: i suoi alleati Houthi yemeniti e Hezbollah libanesi sono nel mirino dello stato ebraico che, dopo avere sbriciolato Hamas, con 45mila morti civili a Gaza, ne sta frantumando le capacità offensive e difensive, in Siria Bashar Assad è crollato e ora a Damasco è al potere Al Jolani, capo di milizie sunnite jihadiste, sostenute dalla Turchia, da sempre ostili agli sciiti. Anche in Iraq, dove il governo e le milizie sciite predominano, l’influenza iraniana deve in qualche modo segnare il passo. Lo stesso Trump, pronto a entrare alla Casa Bianca, ha confermato che vuole mantenere su Teheran un politica di «massina pressione», la stessa che nel gennaio 2020 lo portò a far assassinare il generale Qassem Soleimani. Il più importante stratega degli ayatollah.

Israele, esibendo un apparato militare e di intelligence nettamente superiore a chiunque nella regione, quest’anno ha fatto fuori tutta la dirigenza di Hezbollah (compreso il capo Nasrallah), ha ucciso il capo di Hamas Haniyeh a Teheran, ha fatto fuori all’ambasciata iraniana di Damasco i generali dei pasdaran e dopo la caduta di Assad, occupando tutto il Golan, sta tagliando ogni linea di rifornimento a Hezbollah, che si è visto anche distruggere i terminali marittimi sulla costa siriana.
È evidente che la repubblica islamica non solo è sotto tiro ma sta lottando per la sopravvivenza. Lo si capisce bene da un discorso tenuto qualche giorno fa dall’ammiraglio britannico Tony Radkin al Royal United Service Institute di Londra. Secondo l’ammiraglio «Israele nei bombardamenti del 26 ottobre ha distrutto la quasi totalità delle difese aeree iraniane e la sua capacità di costruire missili balistici per almeno un anno». Gli F-35 israeliani hanno lanciato i loro missili volando a una distanza di almeno 120 chilometri dai bersagli, quindi fuori da ogni possibilità di intercettazione.

«Il vantaggio militare e di intelligence israeliano – ha concluso Radkin – è fuori dalla portata di ogni avversario locale». E se ne sono accorti anche russi e cinesi perché questa guerra in Medio Oriente diretta all’Iran e ai suoi alleati va molto oltre i confini della regione.

Ecco perché oggi i timori assalgono i vertici iraniani ma domani si possono proiettare su una scala ben più ampia e terrificante. Che il nuovo anno porti consiglio e alla liberazione di Cecilia Sala dal portone d’acciaio di Evin.