Libertà condizionata L'Iran: «L'arresto della giornalista non è una ritorsione, ma ci auguriamo che il caso si risolva presto». L'Italia temporeggia per la questione dell'estradizione di Abedini negli Usa
«L’arresto di Cecilia Sala non è una ritorsione» per quello di Mohammed Abedini. La prima parte del discorso fatto ieri dalla portavoce del governo di Teheran Fatemeh Mohajerani ribadisce la linea della negazione inaugurata ieri dall’Iran. La frase dopo, però, nel suo contraddire le premesse, suona decisamente come un’apertura: «Ci auguriamo che la questione della giornalista venga risolta rapidamente». Mentre in Italia prosegue la linea del silenzio stampa – nessuna comunicazione ufficiale sul tema -, nella Repubblica islamica ormai non passa giorno senza che si dica qualcosa del caso Sala-Abedini. Il fatto che le dichiarazioni siano sempre almeno in parte discordanti – alla Farnesina l’ambasciatore Mohammad Reza Sabouri aveva confermato il legame tra le due vicende – conferma un’analisi molto diffusa tra gli osservatori delle cose iraniane: tra il governo e l’intelligence non c’è accordo totale sulla gestione del dossier e, con ogni probabilità, la decisione di arrestare Sala è stata presa senza che l’esecutivo ne sapesse nulla.
In Italia la questione è quasi speculare: l’arresto di Abedini è avvenuto il 16 dicembre all’insaputa degli apparati di intelligence: gli Usa – che vorrebbero l’estradizione dell’ingegnere perché sospettato di aver venduto componenti tecnlogiche belliche ai Pasdaran – si sono coordinati solo con la polizia, escludendo i servizi segreti, che così, fatalmente, non sono più stati in grado di garantire la sicurezza della reporter di Chora Media a Teheran, presa il 19 dicembre.
Cosa sia successo tra il primo e il secondo evento, comunque, resta complicatissimo da ricostruire, ma l’ipotesi più probabile (nonché peggiore) è che non sia successo proprio niente . Nessuno si è preoccupato di valutare con attenzione il peso che poteva avere l’arresto di un iraniano dietro richiesta Usa, nessuno ha pensato che forse sarebbe stato il caso di tutelare in qualche modo gli italiani a Teheran. Va detto che tutto è avvenuto con grande velocità: la richiesta di Washington all’Interpol è datata 13 dicembre, il blitz a Malpensa è scattato il 16 dicembre e la convalida dell’arresto è del giorno successivo.
Ieri, intanto, l’avvocato Alfredo De Francesco è tornato nel carcere di Opera per fare visita ad Abedini. Il colloquio è servito sia a discutere degli ultimi avvenimenti di carattere giudiziario (la procura generale della Corte d’appello di Milano ha confermato il suo parere negativo alla scarcerazione) e a elaborare un minimo di strategia in vista dell’udienza del 15 gennaio, quando i giudici dovranno decidere sull’eventuale concessione degli arresti domiciliari. È possibile che l’iraniano farà una dichiarazione per respingere ogni accusa. Quasi una formalità, perché tutto è appeso alla vera trattativa in corso, che per Roma non è tanto quella con Teheran quanto quella con Washington. Èdall’altra parte dell’Atlantico, infatti, che dovranno in qualche modo accettare il fatto che Abedini non verrà estradato (può deciderlo in qualsiasi momento il ministro della Giustizia in autonomia in virtù del codice di procedura penale) e che, di conseguenza, verrà scambiato per la liberazione di Sala. Gli apparati di sicurezza Usa sono contrari a ogni ipotesi di questo genere – ritengono l’ingegnere in possesso di molte informazioni interessanti -, mentre, con la sua breve visita dnella residenza di Mar-a-Lago, nella notte tra sabato e domenica, la premier Meloni avrebbe ottenuto qualche apertura in più da Donald Trump in persona. A patto che tutto si risolva prima del suo insediamento, il 20 gennaio.