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Accordo raggiunto tra Israele e Hamas: tregua nella Striscia, si parte domenica con il rilascio dei primi ostaggi. Dopo quindici mesi di atrocità e decine di migliaia di uccisi, festa in Palestina e tra le famiglie dei rapiti. Ma i blitz israeliani non si sono fermati: ieri altre decine di morti

Alla fine L’accordo tra Hamas e Israele è stato raggiunto a Doha. Intesa in tre fasi, scambio tra ostaggi e prigionieri a partire da domenica

La gioia davanti a una tv nella tendopoli di Khan Younis all’annuncio del raggiungimento dell’accordo di tregua La gioia davanti a una tv nella tendopoli di Khan Younis all’annuncio del raggiungimento dell’accordo di tregua

Domenica 19 gennaio avrà inizio la tregua a Gaza tra Israele e Hamas. La notizia attesa per 15 mesi è stata data ieri sera dal primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani. Il massacro quotidiano di decine di civili, continuato anche ieri, sta per terminare. È ciò che hanno pensato subito i palestinesi di Gaza che avevano dato sfogo alla loro gioia già nel pomeriggio quando i media di tutto il mondo hanno cominciato a diffondere i particolari dell’accordo raggiunto a Doha. Se l’offensiva israeliana che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi sia davvero terminata è presto per affermarlo con certezza. La cautela è d’obbligo. Non vanno sottovalutati i giorni delicati che mancano al 19 gennaio. Abu Odeida, portavoce dell’ala militare di Hamas, ha proclamato l’interruzione degli attacchi, ma cosa farà l’esercito israeliano nelle prossime 72 ore è un grosso interrogativo. Benyamin Netanyahu peraltro ha ripetuto, anche negli ultimi giorni, che gli attacchi riprenderanno alla scadenza del cessate il fuoco allo scopo di distruggere totalmente Hamas.

POTREBBE PESARE l’idea dei dirigenti israeliani secondo la quale la guerra non avrebbe provocato danni così gravi nella Striscia e ucciso tanti palestinesi (almeno 48mila). Parlando a Rai 1, il ministro degli esteri Gideon Saar ha negato che la reazione israeliana contro Gaza dopo all’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023 sia stata «eccessiva» e che ci siano stati troppi morti. «In guerra ci sono sempre le tragedie, la morte di persone che non sono coinvolte» ha detto Saar, aggiungendo che Israele «ha fatto tutto secondo il diritto internazionale».

Proprio l’improvvisa partenza di Saar per Israele durante la sua visita in Italia, ha confermato che

l’accordo era ormai fatto. Il ministro degli esteri oggi si riunirà con gli altri membri del governo e del gabinetto di sicurezza, per approvarlo. I ministri dell’estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich ieri erano ancora incerti su come votare dopo aver bocciato l’accordo. Potrebbero astenersi e non opporsi a un patto che prevede il ritorno a casa degli ostaggi ancora vivi e che è sostenuto dalla maggioranza degli israeliani. Il mal di pancia della destra estrema è aggravato dalla scarcerazione di 1.000 prigionieri palestinesi, tra cui almeno 250 condannati all’ergastolo. Ma tornare alle urne è una prospettiva che piace poco ai partiti della maggioranza. Ben Gvir e Smotrich se da un lato minacciano di far cadere il governo, dall’altro non vogliono lasciare la loro poltrona ora che potrebbero ottenere l’annessione della Cisgiordania a Israele grazie al ritorno alla Casa Bianca dell’alleato Trump.

Mentre ieri si attendeva la conferenza stampa del primo ministro del Qatar, incaricato di annunciare la tregua, pesavano ancora sull’intesa raggiunta la verifica da parte di Israele dei detenuti palestinesi che saranno rilasciati. In gran parte sarebbero abitanti di Gaza imprigionati dopo il 7 ottobre 2023. Hamas avrebbe accettato che i condannati all’ergastolo da liberare siano deportati in un paese terzo concordato. Secondo l’ufficio di Netanyahu, il premier avrebbe «respinto con successo» il «tentativo estremo di Hamas di ottenere il ritiro di Israele dal Corridoio Filadelfia», i 12 km di terra che dividono Gaza dall’Egitto occupati da Tel Aviv.

INNUMEREVOLI le reazioni internazionali. Da segnalare quella di Donald Trump che si è attribuito il merito dell’accordo: sarebbe avvenuto, ha detto, grazie alla sua elezione a presidente. L’intesa è in tre fasi, le prime due da 42 giorni ciascuna, con il cessate il fuoco e il rilascio già il primo giorno di tre dei 98 ostaggi (81 uomini e 13 donne, due hanno meno di 5 anni tra cui i fratelli Bibas, la cui sorte è sconosciuta. 84 sono israeliani, otto thailandesi, uno è nepalese e uno tanzaniano). Altri 33 ostaggi (bambini, donne, anziani e malati) saranno liberati da Hamas gradualmente: 4 torneranno a casa una settimana dopo, altri tre in quella successiva e altrettanti al 21esimo giorno. Nell’ultima settimana della prima fase è prevista la liberazione di 14 sequestrati. Cinque soldate israeliane saranno rilasciate in cambio di 250 prigionieri palestinesi, in rapporto di una a 50. Israele potrebbe arrivare a liberare fino a 1.650 detenuti secondo alcune fonti (dipenderà dagli ostaggi liberati durante la prima fase). Chi è accusato di aver israeliani non sarà rilasciato in Cisgiordania ma a Gaza o all’estero (si parla di Qatar e Turchia).

NON SARÀ liberato Marwan Barghouti, il Mandela palestinese, il più popolare dei prigionieri politici. Il governo Netanyahu avrebbe anche respinto la richiesta di Hamas di riavere il corpo di Yahya Sinwar, il suo leader ucciso ad ottobre scorso. Sarebbe esclusa anche la liberazione di coloro che hanno partecipato all’attacco al Nova Festival e ai kibbutz il 7 ottobre 2023.
Devono essere affrontati inoltre il nodo della restituzione delle salme, il piano di ricostruzione di Gaza e del futuro governo di Gaza sotto la supervisione di Egitto, Qatar e Nazioni unite. Centrale sarà anche il tema del ritorno della popolazione nel nord Gaza, potrebbe avvenire, ma solo in piccola misura e sotto un rigido monitoraggio. Non è chiaro se e quando l’esercito israeliano si ritirerà dal Corridoio Netzarim che divide in due la Striscia da est a ovest, il principale ostacolo al rientro della popolazione nel nord. Israele inoltre rimarrà per un lungo periodo sul confine tra Gaza e l’Egitto. Il Cairo ha comunicato che sono in corso trattative per riaprire il valico di Rafah e aumentare gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza, che Netanyahu si sarebbe impegnato a non limitare o ostacolare.