Il Kamal Adwan, unico presidio sanitario rimasto a Gaza nord, non esiste più: dopo tre mesi di assedio, Israele ha lanciato l’assalto finale. 50 palestinesi uccisi, reparti dati alle fiamme, staff e pazienti spogliati e portati via verso le prigioni dove i gazawi spariscono per mesi
Striscia di sangue Attacco dei soldati all’ultimo ospedale ancora operativo nel nord di Gaza. 350 pazienti, medici e sfollati sono stati cacciati via
Medici e pazienti costretti a lasciare l'ospedale kamal adwan di Gaza durante un raid israeliano
«Siamo stati portati in una sala dell’ospedale, i soldati israeliani ci hanno ordinato prima di togliere il velo (islamico) poi di spogliarci, le donne alcuni indumenti, gli uomini quasi completamente. Li hanno portati via seminudi, con le mani alzate. A noi hanno intimato di andare alla scuola Al Fakhoura». Mentre Shurooq Al Rantisi, operatrice di laboratorio, raccontava ai giornalisti quanto accaduto alle prime ore del giorno all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, colonne di fumo nero si alzavano dalla struttura ospedaliera, l’unica operativa nel nord di Gaza. Prima del raid, un attacco aereo aveva centrato un edificio nei pressi dell’ospedale facendo una strage: circa 50 i morti, quasi tutti civili secondo i dati riferiti dalle autorità sanitarie.
«Gli occupanti sono ora all’interno dell’ospedale e lo stanno bruciando», ha lanciato l’allarme il direttore del ministero della Salute, Munir Al Bursh. Il viceministro Youssef Abu El Rish ha aggiunto che il fuoco appiccato dalle forze israeliane ha bruciato il dipartimento di chirurgia, il laboratorio, un magazzino, le ambulanze per poi diffondersi ovunque. Il portavoce militare israeliano ha replicato che l’esercito entrato per «arrestare terroristi di Hamas» avrebbe cercato di limitare i danni ai civili e «ha agevolato l’evacuazione sicura di pazienti e del personale medico prima dell’operazione», ma non ha fornito prove di questo. Ha quindi negato che i soldati abbiano dato fuoco intenzionalmente all’ospedale.
Poco si sapeva ieri sera della sorte di 185 medici, infermieri e pazienti nelle mani delle forze israeliane. A cominciare del direttore, Hossam Abu Safiyeh. Nei giorni scorsi Abu Safiyeh aveva lanciato una richiesta di aiuto e chiesto alla comunità internazionale di intervenire per fermare Israele. Giovedì notte invece aveva annunciato che cinque membri del suo staff erano stati uccisi da attacco aereo: un pediatra, un tecnico di laboratorio, due operatori di ambulanze e un addetto alla manutenzione. I militari israeliani gli hanno mandato un messaggio inequivocabile prima di fare irruzione: «questa volta ti arrestiamo».
L’evacuazione con la forza del Kamal Adwan è avvenuta, come Israele minacciava di fare da mesi. Nel nord di Gaza non ci sono più strutture in grado di fornire un minimo di
assistenza medica alla popolazione. 75 dei pazienti sono stati portati, senza medicine, acqua e viveri all’ospedale Indonesiano che non è più funzionante: immagini diffuse ieri sui social mostrano che in parte è stato occupato da reparti israeliani. L’esercito nelle ultime ore inoltre ha demolito diversi palazzi ancora in piedi. Ciò potrebbe accelerare la fuga dei 60-70mila palestinesi che ancora restano nel nord di Gaza. Gran parte dell’area attorno alle città di Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahiya è stata sgomberata e sistematicamente rasa al suolo, alimentando la voce secondo cui Israele sarebbe intenzionato trasformare il nord di Gaza in una ampia zona cuscinetto. Già oltre 100mila civili palestinesi sono stati espulsi con la forza dallo scorso 3 ottobre nel quadro del progetto non ufficiale noto come «Il Piano dei Generali» finalizzato a rendere inabitabile la parte settentrionale di Gaza attraverso le distruzioni, le espulsioni, le punizioni collettive e la fame.
Il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) ha avvertito di essere in grado di reperire solo un terzo del cibo di cui ha bisogno per sostenere i palestinesi di Gaza dove il livello dell’ingresso degli aiuti umanitari è sceso al livello più basso dell’ultimo anno, nonostante gli esperti avvertano che la carestia è imminente, soprattutto nel nord. Le condizioni di vita sono spaventose ovunque a Gaza, anche nel sud in cui si ammassano oltre due milioni di civili costretti a vivere nel freddo, in campi di tende affollati, tra macerie e rifiuti. Negli ultimi giorni almeno undici bambini sono stati uccisi dagli attacchi aerei e quattro neonati sono morti per il freddo. «Non esiste una gestione dei rifiuti solidi, gli ospedali sono sovraffollati e le persone vivono in condizioni igieniche precarie, il che aumenta il rischio di epidemie», ammoniva ieri Ocha, il coordinamento dell’Onu per gli affari umanitari.
Quando avrà fine tutto questo non si sa, la tregua è lontana malgrado ciò che si affermava nei giorni scorsi. Netanyahu vuole da Hamas l’elenco degli ostaggi israeliani a Gaza ancora vivi prima di proseguire le trattative. A sostegno della fine dell’offensiva nella Striscia ieri hanno manifestato a Gerusalemme Ovest alcune decine di attivisti israeliani in disaccordo con la posizione di quasi tutta la popolazione ebraica che appoggia la guerra di Benyamin Netanyahu e che, come il premier, vede con favore soltanto una tregua provvisoria volta riportare gli ostaggi a casa, ma non a cessare gli attacchi che ogni giorno uccidono decine di abitanti di Gaza. Solo ieri almeno altri 37.
In Cisgiordania, intanto, accanto alle incursioni israeliane, continua l’operazione «di sicurezza» lanciata a inizio mese a Jenin dall’Autorità nazionale palestinese contro i combattenti palestinesi del Jihad. Il bilancio di morti e feriti aumenta e così la rabbia degli abitanti della città schierati dalla parte delle organizzazioni della resistenza. Ieri è stato ucciso un poliziotto dell’Anp, il terzo dall’inizio dell’operazione.