Netanyahu dice all’Onu di volere la pace. Poi va in albergo e ordina di bombardare Beirut. Mira al leader di Hezbollah, abbatte sei palazzi con le bombe anti-bunker. È una strage che infiamma il Medio oriente. La guerra totale è a un passo, oggi sarà un giorno da incubo
Intanto all'Onu Se alla squadra della luce è tutto possibile, chiunque muova dissenso (l’Onu, la Corte penale, i manifestanti nelle piazze) è oscurità. Intanto, però, in piena Beirut l’esercito israeliano sbriciolava intere palazzine
Carri armati e soldati israeliani al confine con il Libano Baz Ratner/Ap
Il discorso sulla pace che Benyamin Netanyahu ha letto ieri alle Nazioni unite non è terminato quando è sceso dallo scranno più alto del pianeta. Ma un’ora dopo, quando una serie di esplosioni senza precedenti ha ridotto in macerie sei palazzi a Beirut città, seppellendo un numero imprecisato di persone e terrorizzando un popolo intero. Poco prima che Netanyahu salisse su quello scranno all’Onu, a Berlino il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella diceva che «la pace non significa sottomissione e abbandono dei principi di dignità di ogni Stato e del diritto internazionale».
Il riferimento era alla guerra all’Ucraina, ma quella definizione è – o dovrebbe essere – universale. Eppure c’è pace e pace. C’è una pace che può sorgere solo dalla giustizia e dall’eguaglianza e c’è una pace intesa come mera assenza di conflitto.
In questa seconda «pace» il Medio Oriente vive da tempo, dentro i vari regimi che lo costellano, silenziatori seriali di dissenso, dove il conflitto sociale e politico necessario in un sistema democratico è soffocato. I palestinesi in una simile pace vivono impantanati da 74 anni: è la condizione per cui un’occupazione militare e un sistema di apartheid possono prosperare senza troppi scossoni se li si continua a gestire, facendoli assimilare ai tuoi, trasformati in secondini, e agli altri, ridotti a prigionieri. Fino all’esplosione.
È la pace di cui ieri, di fronte a un’Assemblea generale fantasma, ha parlato il primo ministro israeliano mentre la sua aviazione si preparava a cancellare un quartiere. Un ribaltamento concettuale, quello pratico lo vediamo ormai da un anno eppure non ha trovato spazio nel discorso fiume di Netanyahu. La pace? Si fa con la guerra, perché la pace che si va cercando è
Leggi tutto: Netanyahu, la civiltà del bombardiere - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Tele-Meloni Eletti Di Majo e Natale per 5s e rossoverdi; Frangi e Marano per Fdi e Lega. Il Mef indica Rossi e Agnes come ad e presidente. Scontro Conte-Schlein. La leader dem: «Le opposizioni erano unite, qualcuno ha cambiato idea». L’avvocato: siamo lì per vigilare, il Pd faccia l’Aventino per le direzioni e le testate dopo decenni di segno diverso. Fratoianni: abbiamo ottenuto l'avvio della riforma della tv pubblica
Peggio di così non poteva finire: con il centrosinistra diviso e avvelenato, la destra compatta e il nuovo cda Rai pronto a dare un’ulteriore stretta a tele-Meloni, con l’arrivo al timone del meloniano Giampaolo Rossi. Ad agosto le opposizioni unite avevano provato a mettere in difficoltà la destre: niente nomina del cda Rai senza una riforma del servizio pubblico che recepisca le indicazioni Del Media freedom Act europeo.
UNA BARRICATA CHE HA tenuto fino a un paio di settimane fa, quando era stata la destra a imporre un rinvio per le proprie divisioni interne. Negli ultimi giorni il fronte di centrosinistra si è sgretolato, con Conte che per primo si è detto disponibile a procedere alle nomine: e così ieri M5S e Avs hanno partecipato alle votazioni sui 4 membri del cda di nomina parlamentare, ottenendone due (la conferma di Alessandro di Majo per i 5S, per i rossoverdi entra l’ex Fnsi Roberto Natale), mentre il Pd, con Azione e Iv, ha confermato la linea dura.
PER LA DESTRA BOTTINO pieno: ha eletto l’ex direttore di Rai2 Antonio Marano (quota Lega) e Federica Frangi (già a Porta a porta e poi un passaggio nell’ufficio stampa di Fdi). Mentre il ministero dell’Economia ha completato la squadra con le due nomine più pesanti: Gianpaolo Rossi, amministratore delegato in pectore e Simona Agnes, designata in quota Fi come presidente della tv pubblica ma ancora sub iudice, visto che deve ottenere il voto dei due terzi della commissione di Vigilanza. Fi Italia sta lavorando per trovarle i voti, per palazzo Chigi non c’è particolare fretta: se non li troverà il presidente ad interim sarà il più anziano, e cioè Marano, e così anche Salvini avrà ottenuto qualcosa (anche se dalla Lega arriva un pizzino a Meloni: «La riforma Rai è più che mai necessaria»).
PER ORA IL DRAMMA è tutto a sinistra. Per il Pd non c’è solo la solita inaffidabilità di Conte (sui temi Rai più frequente del solito), ma anche lo strappo con i cugini di Avs. «Noi siamo
Leggi tutto: Rai, 5s e Avs votano il nuovo cda con le destre. Pd furioso - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)Punire e reprimere, a scuola e nelle strade: chi non è conforme è un nemico. C’è un filo nero che unisce il disegno di legge «sicurezza» del ministro Piantedosi e il voto in condotta del ministro Valditara. Il primo provvedimento è a metà strada, il secondo da ieri è legge. Ma la protesta si organizza
Ddl sicurezza L’insieme delle norme volute dal governo è il manifesto di un diritto penale autoritario e illiberale che trasforma in criminali e nemici alcune precise figure sociali
L’ultima occasione per protestare
Il disegno di legge «sicurezza» approvato dalla Camera dei deputati è il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana. Spetta adesso al Senato decidere se c’è ancora spazio politico e sociale per le minoranze dissenzienti, per chi usa il proprio corpo per manifestare la propria opposizione al potere, per chi disobbedisce in forma nonviolenta.
L’insieme delle norme volute dal governo è il manifesto di un diritto penale autoritario e illiberale che trasforma in criminali e nemici alcune precise figure sociali.
Eccole: l’occupante di case, l’attivista ambientale, la giovane donna rom, il detenuto comune, l’immigrato che vive per strada, il mendicante. Nuovi reati, nuove pene, nuove proibizioni e nuove punizioni. Un insieme tragico di divieti e sanzioni che renderanno penalmente perseguibili tutti coloro che protestano in forma non convenzionale, ma senza far del male a nessun essere umano, e tutti coloro che vivono ai margini della società.
Una società che ha progressivamente perso ogni carattere solidale, come dimostra l’uso abnorme delle polizie locali per smantellare gli accampamenti di chi vive per strada, come è accaduto a Roma nei giorni scorsi.
Il disegno di legge sulla sicurezza è l’ultimo dei passi compiuti verso il definitivo smantellamento dello Stato sociale costituzionale di diritto ereditato dalla Resistenza. Punire i poveri o le minoranze dissenzienti non è solo espressione di una politica simbolica diretta a cumulare consenso in forma demagogica, ma è qualcosa di più. È la concretizzazione materiale di un modello di diritto penale di matrice autoritaria e non
Leggi tutto: L’ultima occasione per protestare - di Patrizio Gonnella
Commenta (0 Commenti)Ravenna, 25 settembre 2024 – “Il sindaco Isola ha ragione nel momento in cui decide di passare a quella che ha chiamato ‘disobbedienza istituzionale’. Siamo con lui, lo stiamo sostenendo con tutte le azioni possibili”. La presidente facente funzioni dell’Emilia Romagna Irene Priolo si schiera con il sindaco di Faenza e con la sua scelta di scrivere al presidente Mattarella per annunciare che il Comune intende eseguire da solo le opere necessarie per la messa in sicurezza della città.
“Ho già contattato il commissario Figliuolo per ottenere lo sblocco dei 2,8 milioni necessari per costruire il sistema di protezione per il fiume Marzeno di cui ha bisogno Faenza nell’immediato. Quei fondi, bloccati perché legati al Pnrr, verranno ricavati direttamente dalle risorse di cui già dispone la struttura commissariale”. Priolo - a quanto pare fra i pochissimi preallertati dell’atto di disobbedienza - non legge la mossa di Isola quale una guerra dichiarata anche alla Regione. “L’Emilia Romagna ha fatto cantieri per 343 milioni in un anno. Per quelle aree allagabili attendiamo il sì dello Stato da due mesi. La Regione ha spedito il materiale il 7 luglio, speravamo in un’approvazione del piano speciale entro la pausa estiva, ma non e’ arrivata. Anche noi abbiamo dovuto fare da soli: da giorni lungo tutti i fiumi esondati sono al lavoro tecnici e mezzi. Parliamo di cantieri partiti in urgenza per 24 milioni di euro. Siamo intervenuti in tutte le rotte, oltre che sull’erosione di Boncellino”. L’argine a monte di Castel Bolognese in cui è arrivata a fare un sopralluogo la presidente è teatro di uno di questi interventi: “Qui stiamo sollevando il livello dell’argine per evitare che si verifichi una nuova esondazione. Servirà un mese”. Irene Priolo chiede ora un cambio di rotta anche alla struttura commissariale: “Sappiamo tutti che la ricostruzione richiederà 4,5 miliardi di investimenti in dodici anni. Ma gli interventi più urgenti hanno bisogno di una programmazione immediata. Stenderemo un elenco di opere strategiche, bacino per bacino, da consegnare al generale Figliuolo affinché chieda che vengano inserite nella finanziaria che il governo e il parlamento dovranno varare entro l’anno. Ci serve inoltre una via preferenziale legislativa sul modello di quella per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova. Nessun intervento deve più impantanarsi nei meandri burocratici”
Commenta (0 Commenti)Il sindaco Massimo Isola con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Mauro Monti MMph)
Lo strappo del sindaco di Faenza Massimo Isola contro la burocrazia sta facendo discutere tutta Italia ed è un segnale forte di reazione dopo l’alluvione della scorsa settimana. Isola ha anticipato le sue intenzioni (“Non possiamo aspettare, i lavori li facciamo da soli”) in una lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Clicca qui per il testo completo della lettera a Mattarella
Commenta (0 Commenti)Il Libano sotto i raid di Israele al sud: 365 uccisi e oltre 1.200 feriti. Tattiche identiche a quelle usate a Gaza: ordini di evacuazione ai civili, bombardamenti a tappeto e la retorica degli «scudi umani». Hezbollah risponde con 200 razzi. Dopo un anno di diplomazia paralizzata si apre oggi l’Assemblea generale Onu
Striscia continua Come in Palestina: da Beirut al confine meridionale, bombe israeliane su oltre 800 obiettivi. E Tel Aviv ordina ai civili di andarsene
Le colonne di fumo provocate dai bombardamenti israeliani su un villaggio libanese nel distretto di Nabatiyeh, a sud – foto Ap/Hussein Malla
«La mia famiglia vive a Ghobeiry, poco distante dai bombardamenti di venerdì a Haret Hreik e quelli di ieri a Bir el Abid. Venerdì mia sorella aveva portato i bambini a giocare da alcuni amici, proprio nella palazzina che è saltata in aria. Erano usciti mezz’ora prima. È da venerdì che non dormo», racconta con la voce tremula Farah, che dice di non rendersi ancora bene conto di quello che sta succedendo. «(Gli israeliani) volevano la guerra e la stanno avendo. Non sono andato in America dai miei fratelli perché sono vecchio e non voglio morire all’estero. Ma non voglio morire nemmeno così», dice in un misto di rabbia e paura Ahmad subito dopo l’esplosione a Dahieh. Spegne con frustrazione la radio della macchina che passa la notizia.
IL LIBANO È ORMAI entrato in una guerra che ricorda i peggiori conflitti della sua storia. Si contavano ancora gli uccisi e i feriti dei raid israeliani a tappeto della giornata, nel sud e l’est del paese, quando verso le 7 di sera è arrivata la notizia del lancio di tre missili su una palazzina a Bir el Abid, a Beirut, nella quale, dichiara Israele, si trovava Ali Karaki, comandante del fronte sud. Ucciso, dice Tel Aviv; vivo e in un posto sicuro, ribatte Hezbollah.
Se la notizia fosse confermata, si tratterebbe di un altro omicidio eccellente, che farebbe saltare un altro anello importante della catena di comando di Hezbollah, dopo l’uccisione di Fuad Shukri, secondo del partito-milizia il 30 luglio, e di Ibrahim Aqil, comandante dell’ala militare di Hezbollah, le Forze al Redwane, venerdì scorso. Un colpo dietro l’altro, se si tiene anche conto degli attacchi cibernetici di martedì e mercoledì.
L’esercito israeliano ha annunciato ieri di aver colpito 800 obiettivi militari o sensibili di Hezbollah. Il sud è praticamente sotto assedio dal confine a Ghaziyeh, a Sidone, a Jezzine (40 km da Beirut).
IL BILANCIO di ieri è di 1.246 feriti e 356 uccisi. Tra loro almeno 24 bambini, una quarantina di donne e due medici. Il ministro della sanità Abiad ha reso pubblico il bollettino in una conferenza stampa alle 17.30 locali (poi aggiornato in serata), dopo una mattinata di intensissimi bombardamenti su tutto il Libano del sud e sulla valle della Beka’a, a est. Ma è un bilancio destinato a salire. A Bir el Abid in serata si scavava ancora tra le macerie. Siamo nella periferia sud di Beirut, ad altissima concentrazione sciita, la stessa dove venerdì sono state
Leggi tutto: Raid a tappeto su mezzo Libano: 356 uccisi - di Pasquale Porciello BEIRUT
Commenta (0 Commenti)