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Commenti Il testo ora all’esame del senato scivola verso un diritto penale che individua l’autore, specie chi è in condizioni di minorità sociale, come il nemico

Manifestazione contro il ddl sicurezza - LaPresse Manifestazione contro il ddl sicurezza – LaPresse

Un provvedimento eterogeneo, qualcuno lo ha chiamato omnibus, ma con un preciso filo conduttore: la restrizione delle libertà e dei diritti soprattutto di chi è già in condizioni di minorità sociale.

Sul disegno di legge “Sicurezza” siamo stati ascoltati in molti, nelle commissioni del senato dove è iniziata la seconda lettura del testo di legge, perché tanti sono i punti di vista.

Da quello costituzionale degli stridori che sorgono rispetto alla proporzionalità delle pene previste a quello penalistico, con ben quattordici nuovi reati e altre nove nuove circostanze aggravanti, a quella procedurale, fino all’attenzione ai provvedimenti di polizia e anche all’estensione di tutto ciò ai Centri per migranti.

Panorama ampio, come ampio è lo sconcerto rispetto a un provvedimento che, oltre a restringere le possibilità di rivendicazione dei diritti, di opposizione e di espressione di dissenso, finisce col determinare maggiore emarginazione e carcerazione e aggiungere solo una tessera in più a quella cultura che ricorre al diritto penale in chiave simbolica di rafforzamento della sicurezza pubblica.

Ma l’audizione era sostanzialmente tra sordi. O meglio, alla buona interlocuzione con gli esponenti delle forze di opposizione, ha corrisposto un silenzio gentile e muto da parte dei (pochi) presenti della maggioranza: sostanzialmente non una discussione con le loro scelte, ma un mero stare a sentire.

Eppure, anche soltanto sotto l’aspetto penalistico – quello che mi sono limitato a considerare – il provvedimento non introduce semplici ritocchi repressivi bensì determina un mutamento di paradigmi che interessano la cultura del Paese. A partire dall’idea che a pene più dure corrisponda una minore tendenza a commettere il reato: ipotesi falsa che il passato dovrebbe aver insegnato a rifiutare (ho dovuto ricordare quanto detto, proprio in quella sede in una analoga circostanza, circa l’introduzione del reato penale per i cellulari in carcere che, come allora prevedevo, ha determinato più carcere e nessuna diminuzione della circolazione interna di cellulari).

All’interno di questa premessa, un mutamento è nell’affidarsi all’indeterminatezza perché questa autorizza ampia e discrezionale applicazione: per esempio, nel prevedere l’aggravante per un reato qualsiasi in base al luogo dove lo si compie (stazione, aeroporto ecc) e non per la sua specificità o nel connotare come rivolta anche la resistenza passiva in base al contesto con buona pace del requisito di tassatività che la Costituzione impone alla norma penale.

Fin troppo evidente poi come questa fluttuante previsione strida con altre, inclusa la resistenza a pubblico ufficiale che richiede violenza o minaccia e non mera passività, con il rischio che l’equiparazione tra due comportamenti ben dissimili finisca coll’aumentare il ricorso a quelli più gravi.

Ma due ulteriori mutamenti, anch’essi paradigmatici, colpiscono: il primo è lo scivolamento verso previsioni penali che colpiscono un pre-individuato target di destinatari, così centrando il diritto penale non più sul reato ma sull’autore, per poi forse scivolare verso un diritto penale che individua l’autore come nemico.

Come interpretare altrimenti la nuova possibilità di detenere in carcere donne incinte o con bimbi minori di un anno? Ripeto in carcere, perché quella specie di attenuazione che il testo impone di detenzione in un Icam (Istituto a custodia attenuata) dimentica che si tratta pur sempre di una struttura carceraria e inoltre l’obbligatorietà costringerà molte madri a separarsi dal proprio contesto perché gli Icam sono soltanto quattro in Italia.

Norma con destinatari, come del resto è stata commentata anche da esponenti istituzionali, rivendicando che si tratti di donne rom, sinti che non ruberanno più nella metro.

L’altro mutamento è nell’estensione alla non penalità, in particolare ai Centri per il rimpatrio, dove gli stranieri sono chiusi, in un tempo vuoto che scorre in quel non-luogo, senza un magistrato che possa vigilare sulle condizioni interne, quasi sempre nell’impossibilità di far comprendere necessità o di esprimere propri punti di vista se non rifiutandosi di obbedire a qualche ordine che ritengono offenda un loro diritto.

Ora anche il rifiuto silenzioso può essere crimine e rimarrà soltanto la protesta estrema del tagliarsi o del reagire con violenza: l’opposto dell’obiettivo che la norma dice di perseguire.

Aspetti parziali quelli qui considerati, di un provvedimento complessivo che incide anche su molti altri. Ma che danno il quadro di un mutato rapporto tra autorità e cittadino: l’ordine viene prima dei diritti, anche di quelli storicamente intoccabili