SCAFFALE. «A sinistra da capo», a proposito dell’ultimo volume di Goffredo Bettini pubblicato da Paperfirst
Una installazione di Antony Gormley
Ci sono due Goffredo Bettini. Uno è Goffredo, l’altro è Bettini. Nulla di strano. Ognuno di noi è uno in due. Ciascuno in modo diverso. In una società divisa devi dividerti in due per cogliere il tutto. Da un lato Goffredo, il pensatore, l’intellettuale, vorace lettore di libri, in genere di quelli più eretici: fu il primo a decantarmi Guasto è il mondo, di Tony Judt, attento alla grande letteratura, chi sa che un suo amato poeta è Ezra Pound? Dall’altro lato Bettini, il politico a tutti noto, il sapiente manovratore, il cardinal Richelieu di tanti reucci, sindaci, governatori, segretari, l’appassionato di cinema che lo ha portato ad essere regista di celebri operazioni politiche.
BISOGNA PRENDERLO COSÌ, per capirlo. Io lo conosco bene, ci frequentiamo dai primi anni Ottanta, in politica per lo più sulla stessa linea, lui sempre al fronte, io sempre nelle retrovie. Dico per lo più, perché poi qualche sbrego c’è. Oggi, per esempio, non condivido una parola di quanto dice da tempo, anche nel suo ultimo libro, dei 5Stelle, e ancora meno di Giuseppe Conte. Ma queste sono increspature sulla superficie dell’acqua. Infatti non di questo voglio parlare, anche perché solo di questo tutti hanno parlato.
Anche il libro, A Sinistra da capo (Paperfirst, pp. 304, euro 18), è diviso in due. Una prima parte dove storia e filosofia della storia si intrecciano, storia politica italiana e storia mondo. Una seconda parte, di cronaca, un diario politico che attraversa gli ultimi anni. E di questo già molto, appunto, è stato detto. Per cui rimane da dire qualcosa sul discorso più di fondo. L’incipit è eloquente: «Il mondo e ogni forma di vita sono attraversati dal confronto tra chi vince e chi perde. Tra la forza e la debolezza. Tra la fortuna e lo scacco». Di qui, la decisione di schierarsi in questo conflitto dalla parte di chi è debole, di chi è perdente, di chi ha magari virtù ma senza fortuna. La fortuna essendo qui chi ha le migliori opportunità per emergere nella lotta per la vita. Si tratta di una scelta di campo, premessa di ogni impegno pratico per la trasformazione dell’esistente. «Nel confronto tra la forza e la debolezza, la debolezza talvolta si fa forza e combatte per tornare a vivere. Secoli di rivolte, di conflitti aspri e di spietate repressioni. Il mulino della storia ha macinato una serie di innumerevoli slanci per cambiare il mondo».
GLI ESEMPI: Spartacus, i Ciompi, i contadini tedeschi di Thomas Müntzer, Pugaciov, Davide Lazzaretti, Zapata e innumerevoli altri. È la tradizione degli oppressi che si ribellano alla loro oppressione. L’eco della lettura di Benjamin si fa qui sentire. La rivendicazione della «scintilla» del ’17 ha già fatto discutere. La condivido molto. Salvare il lampo di quell’atto rivoluzionario dalla maledizione che lo ha condannato nella costruzione di un socialismo cosiddetto realizzato, è un dovere da caricarsi sulle spalle degli storici futuri. Goffredo non fa problema della sua passata appartenenza alla componente comunista del movimento operaio, nella forma che essa ha assunto originalmente nel partito comunista italiano. E lo fa in polemica con il fiacco, stanco, riformismo oggi dominante. Da leggere il capitolo 24, Riformare il capitalismo, cui aggiungerei la domanda: se sia poi riformabile. Comunque, si legge: «Una critica politica e umana al tecnocapitalismo finanziario» richiede «la tenacia, l’impegno, l’intelletto, la tensione etica per pensare ‘altro’ rispetto alle esperienze del passato». Se si discutesse di questo, oggi nel congresso del Pd, prima di pensare a chi affidare la guida della baracca, allora sì che ricomincerebbe una nuova storia, da capo a Sinistra.
HO LETTO CHE D’ALEMA ha definito le prime sessanta pagine del libro, «puro ingraismo». Può essere vero. Goffredo è stato molto legato a Pietro Ingrao. Ma mai in modo esclusivo. Era altrettanto legato a personalità come Bufalini e Chiaromonte, cosiddetta destra Pci. Questa è una sua caratteristica, presente anche in questo libro. Prende dove gli serve, assomma, assembla, rilegge, reinterpreta quanto trova di essenziale per il suo discorso. Come deve fare qualunque pensiero non dogmatico, aperto, critico, alternativo, libero. Nel libro ritroverete i nomi, tra gli altri, di Canetti, di Dostoevskij, del suo Pasolini, accanto a Freud, al filosofo sudcoreano Byung-chu Han, a Simone Weil. Ma il punctum crucis dell’intero percorso di pensiero sta sempre lì, in quel passaggio, esso sì, epocale dell’89-91, che vede il fallimento dell’esperimento di costruzione del socialismo, da cui riparte la nuova forma egemone del capitalismo-mondo. Il tema attraversa tutto il libro. Con quel tema i conti veri non sono stati fatti. La crisi della sinistra affonda lì le sue radici.
È NOTA, perché ripetuta, la passione di Goffredo Bettini per il tema delle forme. L’attuale forma di mondo sforma il mondo, dice. L’attuale forma di vita deforma la vita. Ne risente l’esistenza delle persone. E nell’ultimo capitolo, tragico, sulla guerra tocca con mano l’incapacità di dare forma all’irrazionalità della storia. È venuto meno il compito destinale della politica. Lo vediamo, lo soffriamo giorno dopo giorno. Allora, socialismo e cristianesimo viene portata avanti come prospettiva strategica. Un pensiero desiderante come antidoto alla banalità, non del male ma del bene, almeno quello che si dice comune. Ma insomma, sembra dire, discutiamo di questo, forse verrà più chiaro con che coalizioni elettorali ci si può presentare nel Lazio e in Lombardia.