La guerra in Ucraina sta imperversando sempre di più, diventando ancora più feroce. Ci stiamo abituando a questa maledetta situazione di morte che sta costringendo gli Ucraini ad una resistenza estrema nel sud del paese e a convivere con una situazione di pericolo e precarietà che sta destabilizzando la vita, dividendo le famiglie, facendo crescere i nostri figli in un mondo pieno di paure e morte. Putin ha compiuto un passo incredibilmente folle, che noi ritenevamo ormai relegato nella storia remota. I suoi piani si sono infranti sull’orgoglio del popolo ucraino ma anche sulla compattezza dell’Europa e della Nato che ha ritrovato un senso (un nemico) e rinnovati finanziamenti per esercitare quella pressione difensiva che Putin voleva allontanare dai confini.
Se qualche anno fa Emmanuel Macron constatava la «morte cerebrale» della Nato, ora, come effetto immediato dell’aggressione russa all’Ucraina, l’Alleanza atlantica riprende vita, accetta l’ingresso di nuovi soci un tempo neutrali e, soprattutto, ridefinisce i suoi modelli strategici aumentando il dislocamento di personale militare e di armi.
È proprio questo primato alla dimensione muscolare che non convince: se la risposta alla Russia è fortemente e comprensibilmente condizionata dalla sua brutale politica aggressiva, non si vede l’ombra della diplomazia, anzi. Si parla di aumento delle spese militari, grandi proclami per militari in stato di allerta, investimenti in tecnologie sempre più distruttive, alleanze basate su logistiche di efficientamento bellico. Non si intravede un piano per il cessate il fuoco e per avanzare un dialogo. Chi può farlo se non
le democrazie occidentali che come primo obbiettivo non hanno quello di armarsi ma di spengere questo conflitto? La guerra sembra la cosa più razionale a cui pensare, la pace la più banale, da relegare ai buoni sentimenti. Solo che la guerra porta alla lunga a scenari impensabili a distruzione, morte, a conflitto perenne a grammatiche incentrate sulla forza, sulla prevaricazione. È la pace che, faticosamente, può portare a periodi di stabilità. Non dimentichiamo poi la grande ipocrisia che in questi anni ha prevalso nelle diplomazie internazionali dove la terza guerra mondiale a pezzi stava già iniziando e dove la Russia stava già dando dimostrazione di quello che poi ha realizzato: guerra in Ucraina (dal 2014), l’intervento in Bielorussia e Kazakistan per reprimere delle contestazioni popolari, e interventi volti a destabilizzare le democrazie occidentali facendo grande uso di fake, troll e finanziamenti ai partiti sovranisti.
Un’ipocrisia che forse faceva comodo per giustificare altre invasioni (ad esempio Afganistan), e per continuare un capitalismo sfrenato che si è servito dei miliardi e dei miliardari Russi. Quello che più spaventa del nuovo corso Nato è l’individuazione della Cina come vera minaccia del XXI secolo, anche qui di fatto riducendo la sfida con Pechino ad un mero fatto militare. Questo è un grave errore. Prima di tutto perché non c’è bisogno di altri nemici ma, al contrario, di una maggiore cooperazione tra gli Stati, tenendo conto degli interessi e dei rapporti che negli anni si sono costruiti. Poi dobbiamo sforzarci di sconfiggere la Cina sul piano commerciale, soprattutto sull’idea di sviluppo economico che non può essere quello coloniale-estrattivo basato solo sul consumo di risorse naturali ma una grande sfida sulla cooperazione internazionale. È ancora accettabile che paesi come la Nigeria, uno dei più grandi esportatori di petrolio e gas al mondo e primo in Africa, debba poi importare il 90% di carburante raffinato perché priva di infrastrutture di raffinazione? Esiste la possibilità di ricercare nuovi investimenti finalizzati ad una crescita complessiva dei paesi in via di sviluppo per convocarli non alla corte di qualche forza militare ma a quella di un’economia più umana e, quindi, più giusta e inclusiva? La differenza tra guerra e pace è questa e sta tutta nella logica della distruzione o della vita.
Dal vertice Nato arriva anche un’altra preoccupazione, quella relativa alla questione curda, ridotta a merce di scambio con il Governo turco per l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica, cosa che non depone a favore della tutela degli interessi dei più deboli, che invece viene sempre sbattuto in faccia ai pacifisti per giustificare le strategie di potenziamento.
In conclusione, anche se non tutto quello che scrive e pensa un pacifista può essere condiviso o realizzato, credo che tutti abbiamo bisogno di riflettere, trovare parole, promuovere diplomazia e gesti profetici perché la preoccupazione è che laddove servirebbe la politica, si preferisce dare sempre la parola alle armi.
* Presidente nazionale ACLI