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Striscia continua Due camion dell’Onu entrano in una scuola del nord ormai svuotato, l’esercito la attacca. Il quotidiano israeliano: presenza militare di lungo periodo attraverso la distruzione degli edifici e le infrastrutture esistenti e la costruzione di nuove strade e basi militari

Palestinesi ispezionano un cratere dopo i bombardamenti israeliani in un campo che ospita sfollati interni a Khan Younis foto Haitham Imad/Ansa Il cratere provocato ieri da un raid israeliano nella «zona umanitaria» di al-Mawasi, vicino Khan Younis – Epa/Haitham Imad

I camion di aiuti umanitari erano appena arrivati nel cortile della scuola Mahdia al-Shawa di Beit Hanoun, nel nord di Gaza in piena carestia. Poi l’incendio: a denunciare l’attacco perpetrato dall’esercito israeliano sono video sui social che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni dell’agenzia Onu per gli affari umanitari, Ocha. I due camion trasportavano razioni di cibo, sacchi di farina e acqua imbottigliata, una missione organizzata dal World Food Programme e autorizzata da Israele l’11 novembre.

A GAZA NORD sono arrivati martedì, nella scuola-rifugio per sfollati tramutata come centro di distribuzione alla popolazione della città sotto assedio. Ma subito dopo l’arrivo, dice Ocha, l’esercito israeliano ha attaccato la scuola costringendo gli sfollati a fuggire. Ha poi appiccato l’incendio che ha definitivamente distrutto l’edificio. Una pratica denunciata da settimane, la distruzione meticolosa di case e rifugi per gli sfollati volta a impedire il ritorno della popolazione cacciata via.

Si somma alle stragi: sarebbero oltre 2mila i palestinesi uccisi nel nord di Gaza dal 6 ottobre scorso. Da parte sua il ministero della difesa israeliano, tramite un suo portavoce, ha detto all’agenzia Middle East Eye che non esiste al momento alcuna politica per l’invio e la distribuzione di aiuti a nord per mancanza di «direttive da parte della leadership politica». Dichiarazioni che smentiscono le già vaghe indicazioni israeliane date al dipartimento di stato Usa, che ha comunque balbettato di apparenti «miglioramenti» della situazione per non interrompere l’invio di armi a Tel Aviv, come minacciato un mese fa.

Otto organizzazioni internazionali tra cui Oxfam e Save the Children hanno risposto in un rapporto di 19 pagine in cui accusano «Israele non solo di aver fallito nel rispettare i criteri posti dagli Usa…ma di portare avanti azioni che hanno drammaticamente peggiorato la situazione». Oltre al fuoco, allo sfollamento e agli assedi, anche il blocco degli aiuti: di 98 missioni umanitarie dell’Onu, scrive Ocha, solo nove sono riuscite ad accedere al nord in sei settimane.

L’ultimo esempio è di ieri: otto uccisi nella «zona umanitaria» di al-Mawasi a sud, un raid ha centrato la casa della famiglia Abu Taha, dove vivevano tante famiglie sfollate. Più tardi altri cinque uccisi nella stessa zona. È in questo contesto di mix di pratiche genocidiarie che ieri Haaretz ha pubblicato un’inchiesta in cui – citando alte fonti dell’establishment militare – scrive che Tel Aviv intende mantenere una presenza a Gaza di lungo periodo.

ALMENO FINO al 2026, scrive il quotidiano israeliano, attraverso «la distruzione degli edifici e le infrastrutture esistenti di modo che nessuna forza possa nascondercisi dentro, ma pure che nessuno possa viverci» e la costruzione di nuove strade e basi militari. L’esercito, aggiunge Haaretz, dice di aver trasformato il nord di Gaza in un’enclave militare, costringendo la popolazione civile a sfollare. Dei 400mila suoi abitanti, ne resteremmo appena 20mila.

Sul fronte libanese, nuovi ordini di evacuazione a Beirut come nel su del paese e nuove stragi: 78 gli uccisi solo nella giornata di martedì. E nuove chiusure al cessate il fuoco: se le autorità libanesi continuano a sperare in una tregua, a spegnere eventuali entusiasmi è stato ieri il neo ministro della difesa israeliano Katz, secondo cui Tel Aviv non intende «concludere nessun cessate il fuoco e non autorizzeremo nessun accordo che non includa il raggiungimento dei nostri obiettivi di guerra». Ovvero il disarmo di Hezbollah, aggiunge Katz, e il suo ritiro oltre il fiume Litani