Libano Forti bombardamenti sulla capitale: nel mirino di Israele c’è Sefiaddine, possibile successore del leader di Hezbollah. Uccisi nove paramedici. L'Onu avverte: «Stiamo assistendo a una ripetizione quasi letterale di ciò che accade a Gaza»
Un uomo tra le rovine del quartiere della Dahieh, dopo una notte di raid israeliani
Impossibile entrare a Dahieh. Nel sud di Beirut Hezbollah ha messo in atto un vero e proprio veto alla stampa internazionale che ha interesse a documentare le conseguenze dei bombardamenti israeliani nelle ultime ore. Ciò che è certo, dai muri che tremavano nella capitale libanese, dai funghi di fuoco nel cielo, è che la scorsa notte l’aviazione di Tel Aviv ha colpito pesantemente.
«IL PIÙ DURO bombardamento del Libano», titolano alcuni media arabi; «sono state usate le stesse bombe sganciate per uccidere Nasrallah» dichiarano altri. Gli 11 raid che ieri notte hanno colpito Beirut sono stati devastanti. I media israeliani affermano che l’obiettivo dell’aviazione dello stato ebraico fosse Haschem Sefiaddine, cugino del capo storico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ucciso in un bombardamento massiccio il 27 settembre scorso.
Per ora il Partito di Dio smentisce e le testate israeliane non insistono troppo, sintomo del fatto che forse stavolta le bombe israeliane non hanno centrato la preda. Ma ciò non toglie che per ogni ufficiale di Hezbollah che la controparte sceglie di colpire, si contano decine di vittime. Almeno 29 ieri, secondo fonti libanesi, in un bilancio che continua ad aggravarsi e che ormai ha superato ampiamente la guerra del 2006. Libano.
Nell’ultima settimana si contano un altro centinaio di cadaveri sepolti sotto le macerie di Beirut, nella guerra del 2006 i morti totali in 34 giorni di conflitto furono stimati tra i 1.100 e i 1.500. Ora siamo oltre i 2mila. Ma quella era una guerra a tutti gli effetti, iniziata con un’incursione di Hezbollah e seguita da un’invasione in piena regola di 10mila soldati di Tel Aviv nel Libano meridionale. Al culmine delle operazioni militari si stima che Israele avesse 30mila effettivi nel territorio del Paese dei cedri, senza contare il personale aeronautico.
ORA INVECE siamo ancora nelle fasi preparatorie del conflitto su larga scala. Hezbollah continua a diffondere bollettini sulle perdite israeliane e nella sola giornata di ieri afferma di aver ucciso almeno altri quattro soldati nemici. D’altra parte Tel Aviv ritiene che almeno 150 combattenti del partito sciita siano stati eliminati dall’inizio dell’escalation, tra cui «alcuni comandanti di battaglioni e compagnie».
Il tenente colonnello dell’esercito israeliano Nadav Shoshani ha dichiarato che sono ancora in fase di valutazione «i danni causati dagli attacchi aerei nel sud di Beirut giovedì sera, che hanno preso di mira il quartier generale dell’intelligence di Hezbollah». Nello stesso bombardamento, secondo Hezbollah, avevano perso la vita nove paramedici e ne erano stati feriti altri 17.
Nel sud del Libano un attacco israeliano ha ucciso altri paramedici nei pressi di un ospedale governativo (quindi non gestito da Hezbollah) a Marjayoun. Sono 37 le cliniche libanesi che hanno smesso di funzionare, di cui nove dell’Onu.
Marjayoun è un insediamento a maggioranza cristiana che era stato risparmiato dai raid nei mesi scorsi. Ora, tuttavia, sembra che le forze armate di Netanyahu abbiano deciso di rendere «terra di nessuno» (no man’s land) tutta la zone che si sviluppa a sud del fiume Litani.
DI CONSEGUENZA, anche i pochi insediamenti cristiani del sud (che nelle precedenti guerre erano rimasti quasi intoccati) iniziano a pagare le conseguenze dell’escalation. Secondo Laila Baker, direttore regionale del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, «stiamo assistendo a una ripetizione quasi letterale di ciò che stava accadendo a Gaza con le violazioni del diritto umanitario internazionale da parte degli israeliani». Baker ha poi definito «catastrofico» l’intensificarsi dei bombardamenti israeliani sul Libano, compresi gli attacchi alle infrastrutture sanitarie del Paese.
In un clima di tensione tangibile, ieri il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, è volato a Beirut per ribadire che Teheran è vicino a Hezbollah e che gli ayatollah non hanno paura di svolgere missioni diplomatiche in Medio Oriente nonostante le minacce di Tel Aviv.