PARLAMENTO. Scontro sulle vicepresidenze. Renzi alza il tiro, il Pd non riesce a chiudere un accordo con tute le minoranze. Domani il voto per completare gli uffici di presidenza
La camera dei deputati - LaPresse
Mentre la maggioranza mette una pezza sulla rottura che si è aperta in occasione dell’elezione del presidente del senato, le opposizioni allargano lo strappo. Domani si votano vicepresidenti, questori e segretari e la minoranza non si lascia sfuggire l’occasione per una nuova lite, mentre ancora non ha scoperto i franchi tiratori che hanno aiutato La Russa. Magari l’esito delle tre votazioni segrete a palazzo Madama di domani pomeriggio suggerirà la risposta. Ma mentre si alzano i toni in particolare tra Azione-Italia viva e il Pd, il lettore deve aver ben chiaro che se Pd, M5S e centristi fossero in grado di trovare un accordo, non ci sarebbe storia. I regolamenti della camera e del senato infatti, con la regola del voto limitato, garantiscono alle opposizioni unite la possibilità di eleggere due vicepresidenti su quattro, un questore su tre e quattro segretari su otto in entrambe le camere. Senza accordo invece si può solo aiutare la destra a stringere qualche accordo sottobanco con pezzi di opposizione. Come probabilmente è andata nel caso dell’elezione di La Russa.
Per una soluzione ordinata, il gruppo più grande, il Pd, dovrebbe prendersi in carico la mediazione, e gli altri, M5S e Azione-Iv, collaborare. Non si verifica alcuna delle due condizioni. Renzi, che ha circa un terzo dei parlamentari de M5S e un quarto di quelli del Pd, considera un suo diritto intangibile una vicepresidenza, in particolare quella della camera da dare a Maria Elena Boschi o Ettore Rosato. Il Pd pensa invece di blindare un accordo con i 5 Stelle che, sulla carta e numeri alla mano, potrebbe garantirgli due vicepresidenze dovendo però riconoscerne altrettante al partito di Conte. I dem puntano a una delegazione femminile per far dimenticare la scarsa quota di donne elette.
Alla camera, durata lo spazio di un fine settimana l’idea di affiancare Zan all’omofobo Fontana, i nomi sono quelli della capogruppo uscente Debora Serracchiani e di Anna Ascani, con la prima più vicina alla vicepresidenza e la seconda alla guida del gruppo dem. Scarse le possibilità dell’ex segretario Zingaretti. Al senato buone probabilità di confermare l’incarico per la vicepresidente uscente Anna Rossomando, appena più basse le quotazioni di Valeria Valente che però potrebbe prendere il posto dell’attuale capogruppo Simona Malpezzi. Qualche chance anche per il coordinatore della segreteria di Letta, il senatore Marco Meloni, in pista per una vicepresidenza.
Anche i 5 Stelle al senato pensano di spostare la capogruppo uscente, Mariolina Castellone, a una delle vicepresidenze spettanti all’opposizione, mentre alla camera il candidato di Conte è l’ex ministro Sergio Costa. Resterebbero così fuori sia il ministro uscente Stefano Patuanelli che l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino che però potrebbero aspirare a una delle commissioni di garanzia. Nel caso in cui i 5 Stelle dovessero rinunciare a una vicepresidenza – alla camera, dove sono percentualmente meno “pesanti” – questa andrebbe a Azione-Iv e appunto a Boschi o Rosato.
Perché questo avvenga, ieri Renzi ha sparato altissimo: «Se Pd e 5S ci tenessero fuori sarebbe un atto di gravità inaudita, dovremmo immediatamente porlo alla attenzione del presidente della Repubblica». «Renzi è scorretto», la replica del Pd Boccia, «con i numeri che hanno potranno accedere a questori e segretari d’aula». Cariche per le quali il Pd non potrà però dimenticarsi dei suoi alleati, Sinistra/Verdi e +Europa almeno. Sempre che la destra non si insinui nell’incapacità di dialogo delle opposizioni, com’è già avvenuto al senato, per dividerle ulteriormente. E imperare.