MOVIMENTI. Migliaia di persone da tutti i continenti al «Climate Social Camp» 2022, l’evento internazionale organizzato dai giovani di Friday For Future per contaminare altri mondi con il pensiero ecologista - Martedì scorso confronto con Castellina, Petrini, De Palma (Fiom)
Le tende hanno cominciato a popolarsi già domenica, nel prato che accompagna il corso di due fiumi, il Po e la Dora Riparia, sotto lo sguardo severo della Basilica di Superga. Il Climate Social Camp, evento collegato e in contemporanea al meeting europeo di Fridays For Future, è collocato su una confluenza in uno degli angoli verdi di Torino. E confluenza, intesa come unione, incontro, convergenza è una delle parole chiave per comprendere questo raduno internazionale degli ambientalisti, in particolare giovani, che parlano lingue diverse e – dando uno scossone ai più vecchi – provano a salvare il mondo. Fino a domani, con la grande sfilata in centro, resteranno sotto la Mole.
CONFLUENZA E’ ANCHE CONTAMINAZIONE con altri mondi, quello del lavoro per esempio (presente, tra gli altri, il collettivo di fabbrica Gkn), con altre generazioni e di sé stessi: decolonizzando l’orizzonte ma anche il movimento. Per questo, insieme alla maggior parte dei delegati provenienti da tutta Europa, partecipano alle iniziative anche attivisti da America Latina, Asia e Africa, continenti particolarmente colpiti dalla crisi climatica seppure siano tra i meno responsabili nell’averla causata.
«SIAMO QUI PER LOTTARE CONTRO MOLTE minacce, proteggendo la poca natura che è rimasta per noi ma anche per le generazioni future», dice Michelin Sallata dall’Indonesia, a cui fa eco Nansedalia Ramirez, messicana portavoce dei Guardiani della foresta del Mesoamerica: «La situazione è critica, ogni giorno veniamo assassinati e criminalizzati. Così è per tutte le comunità di indigeni». Non a caso l’area dibattiti, il «tendone da circo», si chiama Ken Saro-Wiwa, l’intellettuale e attivista nigeriano, già Goldman Prize, che si era scagliato contro lo strapotere delle multinazionali del petrolio responsabili dell’inquinamento del delta del Niger e dell’impoverimento delle popolazioni. Fu giustiziato nel 1995 dopo un processo farsa.
MEMORIA E FUTURO. IL PRESENTE è il tempo dell’azione, non più rimandabile: «La crisi climatica è già qui», ripetono i ragazzi e le ragazze di collettivi e associazioni che, qui, si sono raccolti. Torino si è aggiudicata il secondo meeting europeo di Fridays For Future, dopo quello di Losanna e lo stop causa pandemia. Sia per l’impegno del gruppo locale: «È stato uno sforzo importante e ci siamo riusciti grazie anche a un crowdfunding», spiega Giorgio Brizio, ventenne torinese,autore di Non siamo tutti sulla stessa barca (Slow Food Editore), gli occhi di un ragazzo puntati sulla crisi climatica. Sia per i record negativi con cui la città non ha ancora fatto i conti: è a livello italiano quella che maggiormente contribuisce al surriscaldamento globale, 52esima nel mondo (secondo il monitoraggio di Sensoworks), con 6 milioni di tonnellate di Co2 immesse nell’atmosfera ogni anno. «Purtroppo, nonostante alcuni piccoli cambiamenti ci siano stati, non sono state – sottolinea il gruppo Fridays locale – ancora intraprese azioni necessarie per mitigare e adattarsi alla crisi climatica, ed è importante che ci sia un’accelerazione in tal senso».
GRETA THUNBERG DA CUI E’ PARTITA, con gli scioperi del venerdì, questa mobilitazione internazionale, non è venuta, bloccata da «motivi logistici». Ha parlato da remoto lunedì: «Sono contenta che le persone possano nuovamente ritrovarsi e stare insieme dopo tutto questo tempo e in un’occasione come questa in cui si può parlare faccia a faccia». La sua assenza è anche una prova per il movimento. «Greta – hanno spiegato – è vista come un simbolo, ma è una attivista come tanti altri. Le vogliamo bene, ma in giro per il mondo ci sono tanti altri attivisti che non possono essere presenti e sono tutti dispiaciuti. Ci sono attivisti che non hanno avuto il visto per uscire dai loro Paesi».
IL «BLA BLA BLA» SINTETIZZATO, a proposito del fallimento della Cop26, proprio da Greta è continuato negli ultimi mesi: governi e multinazionali hanno fatto poco o nulla per diminuire le emissioni. Vince il greenwashing nei palazzi della politica, nelle imprese e nei media. «La crisi climatica è una crisi sociale, economica, migratoria ed ecologica causata da un sistema di sfruttamento avido di una terra e della sua gente», dicono i Fridays che hanno sviscerato questi temi in workshop, dibattiti, proiezioni, musica. Dalle prospettive dell’ecotransfemminismo a quelle dell’antispecismo, fino al tema dell’acqua. Dalle lotte operaie e del comitato No Eni (la multinazionale italiana è considerata «un ostacolo» alla svolta verso le rinnovabili, aspetto che è emerso nel confronto con le istituzioni universitarie) alle resistenze internazionali: dal popolo Sahrawi agli zapatisti, alla situazione nel Kurdistan. Fino a quelle più vicine, in Val di Susa, contro il Tav. Il Climate Social Camp precede il Festival Alta Felicità con cui si è gemellato e che – organizzato dal movimento No Tav – si terrà a Venaus dal 29 al 31 luglio.
MARTEDI’, AL CAMPUS EINAUDI dell’Università di Torino, dove si tiene il meeting europeo dei Fridays for Future, si è svolta una articolata tavola rotonda che ha fatto il punto sul ruolo della scienza, dell’università, del mondo associativo, del sindacato nell’affrontare la crisi. Una parte è stata dedicata al confronto e ai consigli di Luciana Castellina, presidente onoraria di Arci e fondatrice de il manifesto, e di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. «Il movimento ecologista – ha sottolineato Castellina – deve mettere i piedi nel territorio, per trasformare la denuncia in una vertenza, mantenendo, come dice Papa Francesco, lo sguardo sull’altrove. Bisogna imparare, poi, a gestire le vittorie, dopo quella meravigliosa per l’acqua, con il referendum, è stata persa quella successiva riaprendo la porta ai privati». Per Carlo Petrini, «il principale responsabile del disastro ambientale è l’attuale sistema alimentare, che pesa per il 34% della produzione di Co2, la mobilità il 17%». E c’è un enorme spreco, il 33% del cibo prodotto viene buttato via, 1 miliardo di tonnellate. «Significa terra fertile e acqua consumate. La riduzione del consumo di carne del 50% è una questione politica. Ma non con la mortificazione di cui parla Cingolani. Vogliamo un processo di liberazione dal consumismo. Non cambieremo il mondo con il magone ma con la gioia».
È INTERVENUTO ANCHE MICHELE DE PALMA, segretario generale della Fiom, ricordando come a Torino, «12 anni fa il più grande gruppo automobilistico fu restio a innovare nel piano industriale in termini di riduzione dell’impatto ambientale». Lo stesso sono state le politiche industriali del nostro Paese, «che non hanno innovato nella mobilità ma solo tutelato i profitti dell’impresa». Per il segretario Fiom, «la più grande sfida industriale non è quella che Elon Musk lancia con Tesla ma che a Torino, dove si produce la 500 elettrica, ci sia possibilità per un operaio di acquistare l’auto che produce».