Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Perdenti e felici, questo è il leitmotiv che domina i servizi giornalistici più informati che ci provengono dalla Grecia. Lo si è visto anche nei volti distesi e persino sorridenti di esponenti di primo piano del governo e di Syriza, come di semplici sostenitori o votanti. Un colpo di sole? Un training autogeno prolungato oltre il tempo massimo? Una cocciuta negazione della realtà? Niente di tutto questo. I dirigenti di Syriza hanno subito, a conteggi dei voti ancora in corso, riconosciuto la vittoria di Nuova Democrazia, la formazione della destra capitanata dal banchiere neoliberista Kyriacos Mitsotakis.

Ma questa loro sconfitta non è stata affatto una debacle. Lo dicono in primo luogo i numeri stessi. Syriza ha raggiunto il 31,5%, guadagnando 8 punti percentuali e 300mila voti rispetto alle europee di 40 giorni fa, che avevano delineato un quadro ben più drammatico. Resta distanziata da Nuova Democrazia da 8 punti e 350mila voti. Un distacco sensibile, ma tutt’altro che catastrofico o incolmabile.

Ciò che più conta è che quei voti non sono stati persi tra gli strati popolari o a sinistra. La Repubblica, nei giorni scorsi, ha fatto giustamente l’esempio del collegio Pireo B, ma non è l’unico, ove Tsipras ha stravinto e dove si concentra la popolazione più povera. Sul piano delle formazioni politiche chi ha preso le distanze da Syriza non è stato premiato. Mentre i comunisti del Kke confermano il loro inossidabile 5 e mezzo per cento, decimale più decimale meno, l’aggressiva formazione di Varoufakis supera di poco l’asticella del 3%. Se la sinistra si fosse presentata unita – periodo ipotetico del terzo tipo, cioè della irrealtà – avrebbe vinto di poco nei numeri ma di tanto nei seggi, vista la particolare e non eccelsa legge elettorale greca.

E’ ciò che ha fatto la destra. I neonazisti di Alba Dorata, così temibili fino a poco tempo fa, restano fuori dal Parlamento. Ci entra, ma con numeri bassi, una nuova formazione «Soluzione Greca» guidata da un piazzista televisivo filoPutin, Kyriacos Velopoulos, uno dei tanti beneficiari della popolarità conferita dal mezzo televisivo nelle elezioni moderne di ogni dove.

Nuova Democrazia ha quindi fatto quasi il pieno dei voti della destra, imbarcando quelli neonazisti senza battere ciglio. Ha spostato voti a suo favore tra quel ceto medio relativamente esteso, che non è stato premiato dalle scelte del governo Tsipras, assai più preoccupato di usare tutti gli spiragli e i margini possibili per andare incontro in primo luogo ai bisogni delle classi e dei ceti più poveri.

Il governo Tsipras lascia il paese in una condizione molto migliore di come lo aveva rilevato. Il Memorandum è alle spalle, anche se è costato diversi sacrifici; il credito internazionale è stato riconquistato; l’avanzo primario di bilancio che purtroppo non ha potuto usare come avrebbe voluto per le imposizioni della Ue, resta comunque considerevole; la disoccupazione si situa al 18,1%, non poco, ma pur sempre 10 punti meno di quando il governo uscente si insediò.
Certamente Tsipras ha dovuto pagare un prezzo non da poco per avere disinnescato il contenzioso sulla Macedonia. Un’operazione che ha smontato un potenziale e pericoloso serbatoio di conflitti ai confini fra i due paesi, quindi un elemento di instabilità per l’Europa che non ha certo bisogno di moltiplicarli, ma che ha creato una reazione di stampo nazionalista che ha non poche responsabilità nell’incremento dei voti di Nuova Democrazia. Ma anche questo elemento che ha finito per determinare uno specifico fattore negativo per il consenso di Syriza ha almeno dato conto della volontà di Tsipras di agire come un vero capo di governo, più preoccupato del futuro, e non solo del proprio popolo, che non del ritorno elettorale.

Ora Syriza prepara una dura opposizione. Può farlo da una base di consenso invidiabile, che nessuna sinistra più o meno moderata può vantare in Europa. Il “miracolo” è riuscito e non è finito. Solo 10 anni fa, nelle elezioni del 2009, Syriza aveva intascato il 4,6%, che già era un miraggio per buona parte della sinistra di alternativa in Europa. Ora, dopo uno scontro senza precedenti con le potenti vestali europee dell’austerità, dopo 5 anni di governo, ha un calo tutto sommato contenuto (circa 150mila voti) ed ha tutto l’entusiasmo intatto, se non rafforzato, per ripartire.

Il programma di Nuova Democrazia non brilla per originalità. Si parla di abbassare le tasse e di incentivi alla imprenditorialità. Ma sono assenti i tratti di quel populismo dall’alto che pareva dovere sfondare nelle elezioni europee. Come sappiamo non è accaduto e questo probabilmente influirà sui comportamenti della destra greca, schiacciandola di più sul mainstream dominante nella Ue. Dal canto suo la Ue fa sapere che restano valide, per ora, le intese tutt’altro che tenere con il precedente governo. I nuovi vincenti non avranno un percorso facile. L’analogia con le vittorie di Pirro va evitata perché troppo banale per motivi geografici ed eccessivamente ottimista.

Ma quello che è certo è che i perdenti restano in piedi ed hanno validi motivi per essere persino felici. Felici di continuare in altro modo una lotta che ha assunto ormai, e in modo indelebile, un significato che va al di là dei confini di terra e di mare della Grecia e che riguarda tutta l’Europa. Chi ha lasciato sola la Grecia contro i diktat delle banche degli arcigni governi guidati dall’asse franco tedesco, come l’Italia, si trova ora in condizioni quasi peggiori e con tanti motivi per utili ripensamenti, anche se naturalmente andranno delusi. Mentre la sinistra dispersa nel continente, in particolare quella del nostro paese che infiocca insuccessi, farebbe bene a studiare seriamente l’esperienza di Syriza, le potenzialità e i limiti dell’assumersi una responsabilità di governo dentro la crisi capitalistica, il valore dell’unità congiunta con la chiarezza e la nettezza delle posizioni, la capacitò di guardare agli interessi di non breve periodo del popolo che si vuole rappresentare e non alle mosse politiche ad effetto o ad una banale continuità nella speranza vana di conquistare o mantenere popolarità e consenso.