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Milad Basir

“Dopo 15 mesi di genocidio, bombardamenti e distruzione nella striscia di Gaza e nei Territori Occupati da parte di Israele, supportato da molti governi occidentali, è stata finalmente siglata la tregua con Hamas.

Questa non è una tregua come altre nella storia dei conflitti tra paesi, questa è la Tregua con la T maiuscola: lo stato di Israele, appoggiato militarmente, politicamente e finanziariamente dal mondo intero, aveva scommesso di poter cancellare per sempre il movimento di resistenza islamica di Hamas. Nonostante i 15 mesi di durissimo scontro tra uno degli eserciti più avanzati del mondo e i gruppi paramilitari palestinesi, la devastazione di Gaza, l’elevato numero di vittime e l’embargo totale che dura da decenni, Israele è dovuto scendere a compromessi e ha firmato la Tregua con Hamas. 

Non sono bastati a Israele i continui massacri, le torture, la privazione di cibo, di medicinali e di aiuti umanitari. Non è bastata l’uccisione dei leader di Hamas Ismail Haniyeh e Yahya Al Sanwar. Netanyahu e il suo governo di estremisti sionisti erano convinti che la popolazione di Gaza e Hamas stesso avrebbero sventolato la bandiera bianca e si sarebbero arresi, riconoscendo la sconfitta. Ma in questi mesi nessuna bandiera bianca ha mai sventolato tra le macerie, tantomeno oggiOggi sotto il cielo di Gaza e della Cisgiordania sventolano solo bandiere della Palestina.

Il bilancio di questi 15 mesi è drammatico da diversi punti di vista: fonti non ufficiali parlano di oltre 75.000 morti, 120.000 feriti, 15.000 dispersi, oltre la distruzione quasi totale delle infrastrutture, edifici, scuole e ospedali.
La resistenza di questi quasi 500 giorni di assedio sarà studiata nei libri e nelle accademie militari: i suoi protagonisti, ovvero l’intero popolo palestinese, sono invincibili perché da troppe generazioni vivono per lottare contro l’oppressore, l’identità stessa del popolo palestinese è plasmata sul concetto di resistenza.

Da parte mia, questa tregua rappresenta senza dubbio una vittoria della resistenza palestinese, che ha dettato le regole e ha impedito al governo fascista israeliano e a tutti i suoi sostenitori di realizzare un successo militare e politico. L’unica vittoria, se può essere considerata tale, del primo ministro israeliano, è l’uccisione indiscriminata di bambini e civili: in realtà una infame sconfitta morale ed etica che finirà anch’essa nelle pagine più buie dei libri di storia.

La Tregua tra Hamas e Israele è un testo articolato molto complesso, elaborato, controverso, da analizzare con attenzione per evitare ogni forma di equivoci e di interpretazioni errate. La sua applicabilità dipende dai firmatari (Hamas e Israele) e dai suoi garanti (Egitto e Qatar ). In sintesi, il cessate il fuoco inizia domenica 19 gennaio 2025. L’accordo prevede 3 fasi di 6 settimane ciascuna. Nella prima fase si compirà il ritiro in modo graduale dell’esercito israeliano e saranno rilasciati 33 ostaggi israeliani in cambio di circa 1700 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Non si esclude che tra i prigionieri palestinesi ci sia anche il leader dell’intifada Marwan Barghouti. L’accordo prevede anche il ritorno della popolazione palestinese alle poche case ancora in piedi nella Striscia di Gaza.

L’esercito israeliano conserverà una forma di controllo marginale sui corridoi chiamati Saladino e Filadelfia e su una striscia di sicurezza di 700 metri lungo i confini di Gaza. Nella seconda e terza fase dell’accordo riprenderanno le trattative a partire dal sedicesimo giorno dell’entrata in vigore dell’accordo. Inoltre cessa il blocco dei rifornimenti che ha provocato la carestia e la morte per fame di migliaia di esseri umani: sarà ammesso l’ingresso degli aiuti umanitari con 600 camion al giorno e 50 camion di petrolio. 

Sono più e meno gli stessi elementi dell’accordo proposto da Biden nel mese di maggio 2024 con l’aggiunta di dettagli supplementari elaborati dai mediatori egiziani. Da ricordare che la precedente proposta di cessate il fuoco fu respinta da Netanyahu, che preferì occupare il corridoio di confine tra Gaza e Egitto, facendo di fatto fallire la trattativa. Sette mesi di ritardo, di morti, di devastazione, che hanno permesso al primo ministro di conservare il consenso politico in patria, a Joe Biden di proteggere le lobbies israeliane in America e a Donald Trump di vincere le elezioni presidenziali dello scorso novembre. Tutto a spese del popolo palestinese. 

Le Nazioni Unite valutano in circa 80 anni il periodo necessario per la ricostruzione della Striscia di Gaza. Oltre il 70% delle costruzioni sono state distrutte e in alcune zone nel nord la percentuale raggiunge il 100%. Le macerie, le bombe, i missili non esplosi rappresentano non solo un pericolo per la popolazione oggi, ma un ostacolo per il ritorno alla normalità, se di normalità si potrà mai parlare. 

Questa catastrofe dentro la catastrofe che dura dalla prima metà del Novecento, non ha impedito alla popolazione di Gaza di uscire e festeggiare con il segno della vittoria e con la bandiera palestinese. Nessuna potenza militare può soffocare la speranza del popolo palestinese di avere la sua dignità, il suo passaporto e il suo Stato secondo il diritto internazionale. Che sia da lezione per Israele e per tutto il mondo occidentale che l’ha sostenuto in questo genocidio.

Ora tutte le parti in causa devono cooperare per garantire il rispetto e l’applicazione di questo accordo: che entrino ora tutti gli aiuti umanitari di cui necessita urgentemente la popolazione, ma che si lavori per il riconoscimento dello Stato di Palestina entro confini sicuri e riconosciuti e si continui a lottare su scala globale per la fine dell’occupazione. Altrimenti arriveranno nuovi massacri, seguiti da nuove tregue. L’unica certezza è che non sventolerà mai una bandiera bianca, perché la resistenza finirà solo con la vittoria del popolo palestinese”.

Milad Jubran Basir, giornalista italo-palestinese e militante Sinistra Italiana Forlì-Cesena